Una notte gelida, una donna che partorisce in ambulanza durante il trasporto all’ospedale e la neo-mamma che decide di dare al suo bebè il nome dell’infermiere soccorritore che l’ha assistita. Il fatto è accaduto nel febbraio 2012 ad Aprilia (LT), ve lo raccontiamo in modo narrativo dopo aver intervistato il diretto interessato: Christian, infermiere del 118 di Latina.
È un turno di notte abbastanza monotono quello tra il 9 e il 10 febbraio 2012, per Christian e per i componenti della sua equipe d’ambulanza: si chiacchiera, si legge, si scherza, ci si riposa sul mezzo, c’è chi sgranocchia snacks ipercalorici in modo compulsivo e chi si perde nei meandri del web col proprio smartphone, nell’inutile tentativo di ingannare il tempo; tempo che tanto, troppo pigramente si trascina verso una lontana mattina, che per il gruppo ha un dolcissimo significato: la fine del turno di lavoro. Sembra infatti che stanotte nessuno abbia bisogno di aiuto: tutta la città appare come esanime ed infreddolita tra le braccia di Morfeo, compreso il telefono che proprio non ne vuole sapere di squillare.
Christian, infermiere di emergenza territoriale 118 (precario) da 18 anni, conosce bene il servizio 118 e sa benissimo che da un momento all’altro può scatenarsi l’inferno. Così si mantiene sempre in allerta, sorseggiando del caffè custodito in un piccolo ma utilissimo thermos che porta sempre con se al lavoro, consultando qua e là per il web qualche articolo scientifico riguardante l’emergenza sanitaria e guardando innamorato le foto di sua moglie al nono mese di gravidanza. Sorride, Christian. Immagina come sarà essere papà e non vede l’ora. Sogna le forti emozioni che gli esploderanno nel petto mentre terrà la mano della sua amata Serena in quella sala parto. Vuole essere il primo a vedere la sua bimba muoversi in questo mondo e freme dal desiderio di ascoltare quel primo importantissimo vagito, protetto dalle abili mani sanitarie e dai presidi tecnologici che la circonderanno, pronti ad intervenire in caso di qualsivoglia problema. Riesce quasi a vedersi, lì, paralizzato dalla gioia, con quella forbice in mano mentre taglia titubante il cordone ombelicale e un pianto irrefrenabile solca le sue guance, il suo sorriso felice e sconvolto, il suo cuore straripante da neo papà.
Ad un tratto, alle 03:32 del mattino, i sogni ad occhi aperti di Christian e l’inquietante russamento dell’autista soccorritore al suo fianco vengono bruscamente interrotti da uno squillo improvviso: il telefono si è finalmente destato dal suo innaturale ed impantanato torpore.
Risponde Christian. Nulla di eclatante, una donna di 30 anni con una gravidanza a termine che ha verosimilmente iniziato il suo travaglio. Un codice verde, insomma. Così, giusto il tempo di recuperare ognuno i propri neuroni sparsi un po’ ovunque nell’abitacolo e di riaccendere selettivamente le sinapsi più utili ad affrontare l’urgenza, che si parte.
Appena giunti sul posto, al secondo piano di una palazzina in un comprensorio di case popolari ad Aprilia (LT), l’equipe trova la donna in piedi, sofferente, ma che passeggia nervosamente per casa, cercando indumenti da portare con sé per un eventuale ricovero e col marito che la segue avanti e indietro per le stanze nell’inutile tentativo di calmarla. La donna riferisce a Christian di avere forti dolori addominali, che a tratti si intensificano a tal punto da farla urlare e “spingere”.
“Probabilmente ci siamo, signora: è in travaglio”, asserisce l’infermiere. “Come mai ha preferito chiamare il 118 piuttosto che recarsi al pronto soccorso accompagnata da suo marito?”
“I dolori sono fortissimi, a tratti mi sento morire. E poi mio marito non può muoversi da casa: ha ben pensato di farsi ‘beccare’ di nuovo ed ora il genio è agli arresti domic…” La frase è interrotta da una forte contrazione, che la donna cerca di contrastare provando a respirare profondamente. Il tutto mentre i sanitari girano all’unisono la testa verso l’uomo, appoggiato al muro con una postura remissiva e con lo sguardo basso, così basso da non andare oltre ai suoi alluci.
Sentendosi osservato e chiamato in causa, egli proferisce solo un timoroso: “Cara… vedrai che andrà tutto bene”.
“Andrà bene un corno! Partorirò da sola, lo sai? Aveva ragione mia madre, quando mi diceva che non avrei mai dovuto sposare un delinqu… Aaauuuuhhh”, nuova contrazione dolorosa.
E Christian, provando a gettare un po’ d’acqua sul fuoco: “Signora, in questo momento le consiglio vivamente di rilassarsi e di concentrarsi sulla respirazione”. E poi, rivolgendosi agli altri membri dell’equipe: “Ragazzi, andiamo”.
Così i sanitari, aiutandola a camminare, la accompagnano con relativa calma nel mezzo di soccorso, convinti di trovarsi di fronte ad un normale travaglio e ad una futura mamma forse preoccupata, forse ansiosa, sicuramente arrabbiata col proprio compagno di vita.
L’infermiere le rinnova il suo invito ad approfondire gli atti respiratori e la aiuta ad accomodarsi sulla barella in decubito laterale, la posizione più indicata per tollerare il peso di quel pancione al nono mese.
Poi, una volta rilevati i parametri vitali ed eseguite le varie valutazioni del caso così come da protocollo, l’ambulanza parte e si dirige verso l’ospedale.
Il tragitto è a dir poco un’odissea perché non si tratta di giorni qualunque, per Roma e per il Lazio: nelle ultime 24 ore ci sono state copiose nevicate a bassa quota in tutta la regione, di cui si ricordano ben pochi precedenti a memoria d’uomo; così, le strade di Aprilia, non proprio ‘ferrate’ per questo tipo di condizioni atmosferiche, sono diventate delle vere e proprie lastre di ghiaccio, con pericolosi dossi di neve sporca sparsi qua e là e con gli immancabili crateri sull’asfalto a fare da corollario. In pratica muoversi in città è altamente problematico.
L’ambulanza è costretta a cambiare strada più volte, in quello che appare come un gelido e buio labirinto pieno di intoppi; fino a che non si ritrova bloccata in una stradina secondaria, con cui l’autista ha provato a bypassare una sorta di vera e propria pista da pattinaggio al centro della carreggiata. Bisogna tornare indietro. Ancora una volta. Ma in quel momento accade qualcosa: la donna sulla barella inizia di colpo a lamentarsi in modo diverso, più intenso e attira l’attenzione dell’infermiere con urla e gemiti: “Sta nascendo… sta nascendo!!!”
“Si calmi, continui a respirare profondamente, vedrà che riusciremo ad arrivare in tempo all’ospedale”, la rassicura Christian. Intanto, così come indicano le linee guida, la prepara al parto facendole assumere una posizione ginecologica, ma… nota che le contrazioni sono molto ravvicinate, che c’è appena stata una rumorosa deflagrazione del sacco amniotico con annessa ‘cascata’ sul pavimento del mezzo, che la testa del nascituro è ora discretamente visibile ed impegna con drammatica decisione il canale del parto. Eh sì… sta nascendo! Ed il fattore tempo non è più dalla loro parte. Christian ordina all’autista di fermarsi.
Per lui l’emergenza è pura e semplice routine, sa come comportarsi in un’infinità di situazioni difficili e nella sua carriera di infermiere soccorritore ha contribuito a salvare diverse vite; ma questa… è per lui un’evenienza decisamente molto particolare e per cui non ha esperienza, a parte un mare di nozioni teoriche apprese durante gli studi universitari e nella sua attività di formatore sanitario. Una nuova vita sta per nascere. Deve nascere. E l’unica persona che può facilitare questo naturale e meraviglioso processo, prevenendo e affrontando eventuali intoppi, è lui… solo lui. In una stradina buia e sperduta, dove un’ambulanza che si aggirava in stato confusionale per individuare un percorso più sicuro e soprattutto meno ghiacciato degli altri verso il più vicino ospedale, si è ritrovata faccia al muro in un vicolo cieco. Al freddo.
La donna inizia a urlare e a spingere… ci siamo. Ecco, la testa avanza, è fuori quasi del tutto. C’è un po’ di resistenza, ma… Con un ultimo, agghiacciante grido di dolore cui fa seguito una vigorosa spinta, il capo è finalmente libero. Rotazione, spalle e… eccola, in pochi istanti Christian si ritrova la creatura tra le braccia. È un maschio. Le mani e la voce dell’infermiere non tremano così da tanti anni, durante un soccorso. Libera subito le vie aeree del piccolo dalle secrezioni tramite un aspiratore ed il nuovo nato inizia così a piangere, forte e deciso… E Christian con lui, sorridente e commosso davanti allo spettacolo di cui è appena stato autentico protagonista: la nascita di una nuova vita. Non appena recuperato il proprio ruolo, inevitabilmente contaminato da un mare di fisiologiche emozioni, il soccorritore clampa il cordone ombelicale senza tagliarlo, asciuga rapidamente il corpicino del piccolo e lo copre con l’apposito kit. L’ambulanza riparte.
È una traversata fredda, rischiosa e lunga, ma per fortuna il mezzo raggiunge, dopo altri inevitabili cambi di rotta, il più vicino ospedale. La neomamma sta bene e deve solo espellere la placenta, cosa che ora può fare serenamente all’interno di una struttura protetta. Il bimbo è invece ipotermico, ma il personale del pronto soccorso lo scalda immediatamente e lo prepara per la sua breve degenza in reparto di neonatologia.
Christian saluta madre e bimbo da lontano, mentre nuove mani amiche e capaci si prendono cura di loro. Il suo soccorso è finito. Così, non appena sbrigate le varie pratiche burocratiche del caso, ritorna nel suo mezzo con una specie di sorriso beota stampato sul viso, pronto più che mai a sfidare di nuovo quella gelida notte. Notte che gli ha regalato una soddisfazione personale e professionale che non dimenticherà mai.
Sono le 7:00 quando il turno di lavoro dei soccorritori termina e l’infermiere, dopo aver salutato ed essersi complimentato coi membri del suo team, se ne torna finalmente a casa. Entra in punta di piedi in camera da letto, Serena ancora dorme. Si spoglia e si sistema accanto a lei. Dopo, con calma, le racconterà tutto di quella magica notte. Ora, però, i pensieri si stanno facendo veramente troppo vaghi e confusi. Giusto il tempo di sfiorarle i capelli, di darle un soffice bacio sulla tempia e di accarezzarle il pancione, che Christian si appoggia sul guanciale e frana letteralmente in un sonno profondo.
Viene destato all’improvviso, dopo poche ore, dall’odioso squillo del suo telefono cellulare che, come capita sempre, egli ha dimenticato di spegnere prima di addormentarsi. È indeciso se rispondere o meno, ma oramai si è svegliato e forse è qualcosa di importante. Così, contrariato e con l’insana voglia di lanciare lo smartphone fuori dalla finestra, guarda il display con le iridi quasi completamente nascoste dalle palpebre, che non hanno nessuna intenzione di aprirsi. Gli ci vogliono diversi secondi per capire che si tratta di un numero sconosciuto. Risponde con la voce incatramata dal sonno: “Sì? Pronto?”.
Dall’altra parte c’è una donna, la cui voce è per lui familiare. “Buongiorno… parlo con Christian, giusto? L’infermiere?”.
“Sì, sono io…Buongiorno! Con chi parlo?”
“Sono la ragazza che hai aiutato a partorire ieri notte… scusa il disturbo, ma io e mio marito abbiamo cercato di rintracciarti, in quanto volevamo ringraziarti. Per fortuna qui a Latina ti conoscono praticamente tutti ed ottenere il tuo contatto non è stato difficile”
“Non dovete ringraziarmi. Per me è stato puro e semplice dovere! È stata comunque per tutti un’esperienza bellissima. Come state tu e il giovanotto?”
“Sì. Esperienza quasi unica, direi. Io e il bambino stiamo bene e sai benissimo quanto di tuo ci sia in tutto questo… senti, io e mio marito volevamo chiederti una cosa: ci daresti il permesso di chiamare nostro figlio come te? Pensiamo che il modo più giusto per ricordare come è nato e chi è stato l’angelo che l’ha fatto venire al mondo sia quello di dargli il suo nome”
E Christian, a quel punto di nuovo inesorabilmente commosso e con la voce tremula: “Oh Dio… sì, sarebbe per me un onore. Sì!”
“Ok, allora. Grazie di cuore. Ti saremo per sempre grati per quello che ci hai regalato… il nostro piccolo Christian! Ciao…”
Posa il cellulare sul comodino. Si passa una mano sul viso. È seduto sul bordo del letto, guarda fisso la parete davanti a sé, mentre cerca di metabolizzare la notizia appena ricevuta e prova a mettere in moto a spinta le vaste aree del suo cervello ancora ingolfate dal sonno. Nel frattempo entra in stanza Serena, con una tazzina di caffè fumante in mano e col passo fortemente provato dalla dolce zavorra che tra qualche giorno la abbandonerà.
“Buongiorno… già sveglio? Chi era al telefono?”
Christian non le risponde, ma la guarda ammaliato. Consapevole di non averla mai vista così bella, da quando la conosce. Si alza, le va incontro col suo solito e cronico abbozzo di sorriso e la abbraccia. Le racconta tutto. Lei si commuove. Lui la riabbraccia.
Pochi giorni dopo, così come accadeva nei suoi sogni ad occhi aperti, Christian assiste alla nascita della sua bimba, Beatrice. Lo fa stringendo la mano della sua Serena, tagliando il cordone ombelicale e tenendo poi in braccio la sua piccola, con quel sorriso beota e gli occhi acquosi, languidi ed innamorati tipici di ogni papà che guarda per la prima volta il suo bambino. Gli stessi occhi di un infermiere soccorritore che, qualche notte prima, sono rimasti abbagliati di fronte allo stesso identico miracolo: la vita.
Fonti della notizia (oltre al diretto interessato): IPASVI, Ordine Medici Latina
Immagine: Flickr
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