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Andreula sulla formazione infermieristica in università: “Siamo fermi a vent’anni fa”

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La questione infermieristica, la "casa madre" e il PNRR
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Il presidente del Collegio Ipasvi di Bari e componente del tavolo tecnico ministeriale sulle competenze infermieristiche critico con chi mette a confronto il sistema italiano con quelli di altri paesi

FEROLETO ANTICO (Cz) – Prima di guardare all’estero, sarebbe opportuno uniformare il sistema formativo dell’infermieristica in Italia.

Più che protezionismo, quello di Saverio Andreula, componente del tavolo tecnico ministeriale sulle competenze infermieristiche e presidente del Collegio Ipasvi di Bari, è sano realismo.

L’esperienza diretta, in tal senso, è un’alleata di Andreula che le sue perplessità non le nasconde anche in occasione della giornata nazionale sulla formazione, tenuta in Calabria.

“Ritengo sia necessario uniformare sul territorio nazionale i modelli formativi, applicando le norme che già ci sono in termini di requisiti, di docenti, di aree disciplinari e, soprattutto, di tutor. Invece, da quello che vivo quotidianamente, non leggo in Italia questo tipo di uniformità, per questo mettere a confronto il nostro sistema formativo con quello di altri paesi mi sembra francamente troppo”.

Un affondo, quello di Andreula, nei confronti dei sostenitori di questa tesi ribadita anche nel corso del dibattito promosso dalla Federazione nazionale in collaborazione con il Collegio Ipasvi di Catanzaro.

Un altro affondo, questo però più specificatamente tecnico, Andreula lo ritiene necessario per valutare “le diversità interpretative delle norme che sono alla base della formazione infermieristica in università. Andrebbe fatto un carotaggio, come auspicato dalla presidente Barbara Mangiacavalli”.

La realtà, del resto, non bara: “Ancora oggi – riflette Andreula – a distanza di 25 anni dall’arrivo degli infermieri in università, siamo legato al comma 6 dell’articolo 3 della legge 502 che ha previsto il percorso, riguardante anche altre professioni, non più nelle scuole regionali ma in università”.

Un quarto di secolo, però, che sembra trascorso con il passo della tartaruga: “Ancora oggi noi in accademia non ci siamo e, durante la giornata dedicata alla formazione, è stato detto con un pizzico di enfasi che abbiamo due (!) docenti universitari incardinati nel sistema. Ma si tenga conto che gli studenti in infermieristica è in assoluto quello più rilevante. Per questo c’è bisogno di definire un modello compiuto che, evidentemente, non può mettersi a confronto con quello di altri paesi”.

Invece, chiosa Andreula, se confronto deve esserci deve avvenire nell’ambito tutto italiano, per sancire quale modello debba essere preso ad esempio: “Quello dell’Università di Modena? Quello di Milano? Quello di Roma? Bene, confrontiamoci su questo e cerchiamo di portare tutte le università nel definire un’offerta formativa che risponda adeguatamente agli attuali obiettivi che qualifichino la professione infermieristica”.

Salvatore Petrarolo

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