Il caffè è una delle bevande più consumate in Italia. Come affrontare la giornata senza una buona tazza di caffè?
Un recente studio condotto a Padova evidenzia come il caffè espresso ottenuto dai preparati monodose è un potenziale veicolo di interferenti endocrini. Così spiega il Dr Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Padova e presidente della Fondazione Foresta Onlus, durante il convegno “L’infertilità di coppia: dalla medicina generale al centro Pma”, tenutosi a Lecce il 25 novembre scorso.
“Gli ftalati sono una famiglia di composti chimici usati nell’industria delle materie plastiche come agenti plastificanti, ovvero come sostanze aggiunte al polimero per migliorarne la flessibilità e la modellabilità”. Aggiunge: “alcuni studi sembrano mostrare che siano in grado di produrre effetti analoghi a quelli degli ormoni estrogeni, causando una femminilizzazione dei neonati maschi e disturbi nello sviluppo dei genitali e nella maturazione dei testicoli, agendo negativamente sulla fertilità.”
Ebbene, un recente studio del gruppo di ricerca guidato da Foresta, in collaborazione con il Cnr, ha constatato che tutti i prodotti testati, dalle capsule in alluminio a quelle in plastica e materiale biodegradabile, si sono rivelate capaci di rilasciare gli ftalati nel caffè.
“Non vogliamo demonizzare nulla – precisa Foresta – anche perché le concentrazioni riscontrate sono nell’ambito dei range consentiti. Ma dev’essere considerato che, anche attraverso questa contaminazione, si contribuisce al raggiungimento dei valori soglia segnalati come nocivi dalle autorità sanitarie nazionali ed internazionali”.
“Noi siamo, di fatto, la somma di queste esposizioni. Quindi sarebbe importante cercare di capire se, nell’arco della giornata, si superano i limiti dell’assunzione, quantificando i valori medi di esposizione. Una ricerca che aiuterebbe anche a decidere in che modo eventualmente limitare l’esposizione”, conclude Foresta.
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