Dopo la recente polemica sorta nei confronti della nuova figura dell’Infermiere di famiglia portata avanti da alcuni sindacati medici (VEDI) interviene la presidente della FNC dott.ssa Barbara Mangiacavalli.
L’infermiere di famiglia rappresenta un modello evoluto di assistenza sul territorio, in uno scenario attuale che vede l’aumento delle cronicità e della non autosufficienza, ripreso più volte dal nostro giornale.
A parlarne la presidente Mangiacavalli.
“L’infermiere cosiddetto “di famiglia” – spiega Mangiacavalli – in realtà è quell’infermiere che si occupa, il più delle volte unica figura nel campo assistenziale, dei bisogni dei cittadini che una volta fuori dell’ospedale sono spesso abbandonai a se stessi dal punto di vista dell’assistenza – si noti bene: non della diagnostica e terapia a cui pensa il medico di base, ma dell’assistenza, di quei bisogni cioè h24 per cui il paziente è di fatto solo – e se ne occupa con piena soddisfazione degli utenti visto che secondo una recentissima indagine Censis l’85% dei cittadini dichiara di fidarsi di noi e la fiducia aumenta oltre il 90% negli ultrasessantacinquenni”.
“ L’infermiere di famiglia – aggiunge – non è una invenzione nuova, ma una realtà ormai consolidata in molte Regioni d’Italia e non solo del Nord. E ancora di più non rendersene conto fa capire che il senso del cosiddetto infermiere di famiglia non è stato assolutamente colto nel momento in cui si confonde il ruolo dell’infermiere con quello del medico, dandone un’interpretazione assolutamente limitata e riduttiva”.
“Nessuno, sottolineo nessuno – afferma ancora Mangiacavalli – ha mai affermato che l’infermiere di famiglia sostituisce il medico nel momento della necessaria diagnosi e terapia. Non lo vogliamo neppure noi e non ci interessa.
Semmai il suo intervento, che rientra nella medicina di iniziativa oggi chiesta a gran voce per far funzionare il Servizio sanitario nazionale e la prevenzione sul territorio, si innesca nel momento in cui il paziente va necessariamente seguito e va seguito a domicilio dove solo l’infermiere può andare in modo continuativo, controllando – e nel caso interpellando il medico – che tutto proceda per il meglio”.
“Non si strumentalizzano – conclude la presidente Ipasvi -, come invece purtroppo ancora si assiste, dati di fatto come il triage, l’emergenza, l’assistenza agli anziani sul territorio, la continuità assistenziale offerta dagli infermieri e soprattutto le loro capacità provate e testimoniate oltre che dall’esperienza e dagli stessi pazienti da corsi universitari che certificano e testimoniano, ancora una volta, le capacità degli infermieri.
Non si possono né si devono utilizzare modelli di assistenza ormai consolidati per cercare di tirare acqua a un mulino che di fatto è stato abbandonato da tempo perché operava con modalità ormai obsolete”.
Redazione NurseTimes
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