Un interessante studio italiano, portato avanti dal professor Carlo Bellieni (neonatologo dell’Università di Siena) e pubblicato sulla rivista “The Journal of Maternal-Fetal & Neonatal Medicine”, asserisce che durante le operazioni chirurgiche intrauterine, l’anestesia sul feto è necessaria
Ultimamente, la scienza ha fatto passi da gigante. Basti pensare che, fino a pochi anni fa, l’idea di operare un bambino ancora nell’utero era considerata fantascienza; mentre oggi trattasi di una realtà ben consolidata (le operazioni più diffuse riguardano il cuore e la correzione del mielomeningocele, ovvero la spina bifida).
Ma… nella cosiddetta “chirurgia prenatale”, fino ad ora, è stata reputata necessaria l’anestesia così come avviene nelle persone adulte?
Non proprio, visto che la comunità scientifica, su questo argomento, non ha ancora una visione univoca, e non esistono chiare linee guida in materia; così come ha spiegato il prof. Bellieni: “Il fatto che alcuni esperti ritengano non necessaria l’anestesia è dovuto essenzialmente a due convinzioni: da un lato che il feto non sia in grado di percepire interamente lo stimolo doloroso, dall’altro che a livello fetale la produzione di inibitori neuroendocrini intrauterini (ENIn) sia sufficiente al bambino per non provare dolore”.
E poi c’è l’anestesia somministrata alla madre durante l’intervento che, fino ad oggi, è stata reputata sufficiente a smorzare una qualsiasi sofferenza patita dal piccolo. La ricerca del neonatologo dell’Università senese, però, rischia di far crollare queste convinzioni.
Analizzando tutta la letteratura scientifica sulla percezione del dolore a livello fetale dal 1990 al 2016, con l’obiettivo di verificare l’effettiva efficacia degli inibitori neuroendocrini intrauterini nel proteggere il feto dal dolore intraoperatorio infatti, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che questi non bastano: principalmente nella seconda metà della gravidanza (dove di solito vengono concentrati gli interventi), il feto può essere svegliato da stimoli esterni e le concentrazioni fisiologiche di ENIn non sono affatto in grado di indurre un effetto anestetico sufficiente. Anzi, l’anestesia ha effetto solo quando questi vengono iniettati ad alte dosi.
Così puntualizza lo scienziato: “Diversi studi hanno già dimostrato che uno stimolo doloroso sul feto è in grado di innalzare i livelli degli ormoni legati allo stress. Non solo, ad un’analisi fisiologica risulta evidente che dopo le 20 settimane le vie del dolore risultano già ampiamente formate. Questi dati, uniti a quanto abbiamo ottenuto nel nostro ultimo studio, dovrebbero indurre a far sì che l’anestesia diretta nel feto venga considerata una regola proprio come avviene negli adulti che si sottopongono ad un intervento”. Un’anestesia che verrebbe somministrata tramite cordone ombelicale o per via intramuscolare.
“Ad oggi la situazione è abbastanza variegata. L’utilizzo dell’analgesia diretta nel feto avviene in circa la metà dei casi. La speranza è che alla luce delle sempre più numerose evidenze scientifiche l’anestesia fetale trovi sempre più diffusione”, conclude l’esperto.
Fonte: La Stampa
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