I 20 minuti di tempo necessari per mettere e togliere il camice vanno retribuiti
In seguito alla sentenza numero 688 del 26 settembre scorso, Federica Colantonio, Giudice del lavoro, ha accertato e dichiarato il diritto di 265 infermieri rappresentati e difesi dall’avvocato Stefano Dell’Osa.
Dovranno essere retribuiti per le prestazioni di lavoro rese nel tempo impiegato oltre l’orario del normale turno per indossare o dismettere la divisa di lavoro.
E’ stato riconosciuta la durata media di 20 minuti per cambiarsi (10 minuti all’inizio e 10 alla fine del turno).
Secondo le stime del sindacato Uil, l’azienda sanitaria rischia di sborsare una cifra vicina al milione di euro.
La Asl di Pescara è stata condannata al risarcimento delle differenze retributive in favore degli infermieri nei limiti della prescrizione quinquennale decorrente a ritroso dalle diffide di pagamento.
«E’ incontestato», si legge nella sentenza, «che le operazioni di vestizione e svestizione degli infermieri debbano svolgersi, per intuibili ragioni di igiene, nei locali aziendali – e non ovviamente da casa – prima e dopo i relativi turni di lavoro. I testi sentiti al riguardo hanno del resto confermato che nell’ospedale di Pescara esiste uno spogliatoio centralizzato, oltre ad altri spogliatoi in particolare reparti quali, ad esempio, malattie infettive, terapie intensive e sale operatorie, e che il personale infermieristico, quando inizia il proprio turno nel reparto, deve aver già indossato la divisa.
Trattasi, infatti, di abiti che non hanno una funzione semplicemente “estetica”, ma di tutela del lavoratore e dei soggetti con cui questi entra in contatto, anche per effetto di disposizioni legislative in materia di sicurezza pubblica e di tutela della salute sui luoghi di lavoro, da rischi connessi alla prestazione lavorativa, dalle infezioni ospedaliere ed altro».
«La sentenza», chiarisce il segretario provinciale Uil Fp Francesco Marcucci, «nel dare seguito ad un principio ormai consolidato sia presso la Corte di Appello di L’Aquila che presso la Suprema Corte di Cassazione, accerta il diritto fondamentale degli infermieri ad esser retribuiti anche per l’attività di vestizione e cambio di consegne, fino ad oggi mai riconosciuto in termini retributivi dalla Asl.
La sentenza in parola comporterà, inoltre, un notevole esborso economico da parte dell’azienda nell’ordine di oltre un milione di euro, in quanto sarà costretta al pagamento di tutti gli arretrati a partire dal 2004 (per taluni lavoratori che già nel 2009 diffidarono l’azienda al pagamento di tale somme) ed a partire dal 2009 per i restanti lavoratori che diffidarono l’azienda nel 2014».
In aggiunta al risarcimento per le annualità trascorse, la sentenza riconosce il diritto dei dipendenti ospedalieri ricorrenti, a vedersi retribuiti anche in futuro il ‘tempo tuta’, fino ad oggi invece riconosciuto solo come recupero orario.
«Dei vari ricorsi di simile contenuto susseguitesi negli anni», prosegue Marcucci, «questo, proposto dalla UIL FPL, è quello a più elevato impatto poiché riguarda il gruppo più nutrito di lavoratori facenti capo al sindacato con più iscritti all’interno della Asl di Pescara».
La Cassazione ha chiarito come, qualora sia data facoltà al lavoratore di stabilire il tempo ed il luogo ove indossare la divisa stessa (e quindi anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività faccia parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, «e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito».
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