L’intervallo T-peak to T-end potrebbe servire a ottimizzare la stratificazione del pericolo di morte cardiaca improvvisa.
Si definisce cardiomiopatia ipertrofica una patologia cardiaca che provoca l’aumento di spessore dell tessuto muscolare del cuore. È una malattia ereditaria autosomica dominante e risulta la più frequente causa di morte nei giovani e negli atleti a causa di aritmie fatali.
La cardiomiopatia ipertrofica può coesistere con un individuo senza dare manifestazioni cliniche per tutta la vita. Generalmente la diagnosi è possibile farla con l’ausilio di un ecocardiogramma, che mostra ingrandimento del ventricolo sinistro, oppure con il reperto elettrocardiografico, che mostrerebbe un marcato aumento del voltaggio dell’onda R, onde Q strette e profonde nelle derivazioni periferiche o in V4-V6, e importanti alterazioni della fase della ripolarizzazione con negativizzazione del tratto ST e/o profonde onde T negative.
La condizione clinica più infausta sarebbe un’aritmia ventricolare. Analizzando i criteri di intervallo dell’onda T (la cui durata è in media 0.18/0.20 secondi, con ampiezza 0.4/0.5 mV), alcuni studi suggeriscono che un prolungamento dell’intervallo tra il picco e la fine dell’onda T (T-peak to T-end) sia associato a un aumento del rischio di aritmie ventricolari e morte improvvisa. In pazienti con cardiomiopatia ipertrofica diagnosticata si potrebbe optare come strategia terapeutica per l’impianto di un defibrillatore impiantabile (ICD).
Uno studio tedesco ha analizzato l’associazione tra l’intervallo T-peak to T-end e i portatori di ICD e l’insorgenza di aritmie ventricolari. Nello studio sono stati inclusi 40 pazienti, in prevalenza uomini (62.5%), di età media pari a 51.4 ± 16.4 anni. Nei partecipanti è stato misurato l’intervallo T-peak to T-end in un elettrocardiogramma a 12 derivazioni in ritmo sinusale e, ai successivi controlli del defibrillatore, è stata analizzata la presenza di eventi aritmici ventricolari.
Durante un follow-up di 41.8 ± 35.1 mesi, in 7 pazienti (17.5%) sono state rilevate aritmie ventricolari appropriatamente trattate dal dispositivo. In questi pazienti, l’intervallo T-peak to T-end aveva una durata significativamente più lunga rispetto ai pazienti senza eventi aritmici (101.3 ± 19.6 vs. 79.9 ± 15.3 ms; p = 0.004).
Pertanto un prolungamento dell’intervallo T-peak to T-end si associa a un maggior rischio di eventi aritmici ventricolari in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica. L’intervallo T-peak to T-end potrebbe quindi rappresentare un marker di rischio aritmico in questi pazienti, utile per ottimizzare la stratificazione del rischio di morte cardiaca improvvisa.
Michele Calabrese
FONTI:
- Dinshaw L et al. Clin Res Cardiol. 2017 Epub ahead of print Sep 30. doi: 10.1007/s00392-017-1164-4.
- https://www.tigulliocardio.com/2008/16.pdf
- A report of the American College of Cardiology Foundation Task Force on
Clinical Expert Consensus Documents and the European Society of Cardiology Committee for Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol. 2003; 42:1687-1713
Lascia un commento