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Pronto soccorso al collasso: “Non siano gli infermieri il capro espiatorio di una sanità allo sfascio”

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Pronto soccorso al collasso: “Non siano gli infermieri il capro espiatorio di una sanità allo sfascio”
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Condividiamo un intervento di Carmelo Villani, segretario territoriale di NurSind Brindisi. Con le sue parole vuole evidenziare la situazione di difficoltà in cui operano gli infermieri che prestano servizio al pronto soccorso dell’ospedale “Antonio Perrino” di Brindisi.


P.S. al collasso:“Non diventino quindi gli infermieri il capro espiatorio di una sanità allo sfascio“
Carmelo Villani.

Premettendo che lo scrivente, sulle criticità presenti nella Asl Brindisi in generale e nei pronto soccorso in particolare, ha presentato esposto e contestuale denuncia-querela alla Procura della Repubblica in data 10 gennaio 2018 (proprio per denunciare l’atavica situazione lavorativa, che non garantisce un’assistenza di qualità), è indispensabile fare chiarezza sul ruolo del professionista infermiere sia nell’ambito dell’emergenza-urgenza sia nell’ambito della corsia.

In primo luogo è dal 1994 che, col decreto ministeriale 739, viene individuato nell’infermiere un professionista intellettuale, competente, autonomo e responsabile dell’assistenza generale infermieristica. Tale decreto precisa la natura dei suoi interventi, gli ambiti operativi, la metodologia di lavoro e le interrelazioni con gli altri operatori. È dal 1994 che l’infermiere dovrebbe pianificare, gestire e valutare l’assistenza infermieristica. Dovrebbe, ma non è stato finora messo in grado farlo sia in pronto soccorso che nelle degenze.

In secondo luogo la diagnosi infermieristica non deve essere confusa con la diagnosi medica, con la quale spartisce il nome ma non le finalità. Essa è infatti un giudizio clinico-assistenziale sulle risposte dell’individuo, della famiglia o comunità a problemi di salute, sui processi vitali reali o potenziali ed è la base sulla quale scegliere gli interventi infermieristici volti a conseguire dei risultati di cui l’infermiere è responsabile.

Fatta questa premessa, addentriamoci nel processo di triage (termine derivante dal verbo francese trier), che significa scegliere, classificare, indicando quindi il metodo di valutazione e selezione immediata per assegnare il grado di priorità per il trattamento quando si è in presenza di molti pazienti, ed è internazionalmente motivato dall’aumento progressivo degli utenti che vi afferiscono, soprattutto di casi non urgenti. Tale metodo consente di razionalizzare i tempi di attesa in funzione delle necessità dei pazienti, utilizzando quale criterio di scelta le condizioni cliniche degli stessi e non il criterio dell’ordine di arrivo.

Nel 1998 sulla Gazzetta Ufficiale viene prevista, per la prima volta in Italia, la funzione di triage in pronto soccorso, attribuita a “un infermiere adeguatamente formato che opera secondo protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio” (Linee guida sul sistema di emergenza-urgenza sanitaria in applicazione del P.R. 27 marzo 1992 del ministero della Sanità).

Nel 2001, sempre sulla Gazzetta Ufficiale, vengono pubblicate le linee guida sul “Triage intraospedaliero”, emanate dal ministero della Salute d’intesa con i presidenti delle Regioni, che delineano in maniera alquanto articolata alcuni principi generali da realizzare sull’intero territorio nazionale e che definiscono il triage come “lo strumento organizzativo in grado di selezionare e classificare gli utenti che si rivolgono al pronto soccorso in base al grado di urgenza e alle loro condizioni”.

Si stabilisce che la funzione di triage deve essere garantita, in maniera continuativa, presso tutte le strutture con un numero di accessi annui superiore a 25mila. Viene ribadito il fatto che tale funzione deve essere svolta da un infermiere. Viene anche individuata una serie di competenze dell’infermiere triagista, da promuovere attraverso un preciso programma formativo, che consenta agli infermieri di mantenere un livello di aggiornamento specifico per gli aspetti assistenziali, organizzativi e relazionali, attraverso adeguate attività formative da svolgersi almeno una volta ogni due anni. Tutte attività effettuate in maniera sistematica dal personale infermieristico operante nei pronto soccorso della Asl Brindisi.

Detto ciò, quello che da tempo denunciamo, oltre alle già note chiusure, dismissioni e disattivazioni conseguenti al riordino ospedaliero senza un adeguato e contestuale rafforzamento della medicina territoriale, è: l’insufficiente adozione di adeguate soluzioni strutturali, logistiche e organizzative del pronto soccorso (vedi la mancanza di idonee sale-visita, che permettano il corretto espletamento della valutazione infermieristica e il rispetto della privacy del paziente); l’assenza di personale adibito alla vigilanza (guardie giurate e/o forze dell’ordine) nelle ore notturne, che garantiscano l’incolumità e l’operatività del personale nel pronto soccorso; l’assenza di personale di supporto, che comporta un impegno supplementare per il personale dedito all’emergenza, distogliendolo dall’attività prioritaria; l’assenza di spazi idonei per l’isolamento di pazienti potenzialmente infetti e la presa in carico di problematiche situazioni sociali.

A fronte di periodi di estremo affollamento del pronto soccorso, non si registrano reazioni organizzative codificate (piano di gestione del sovraffollamento, piano di emergenza interno per il massiccio afflusso di feriti). L’inadeguatezza strutturale della cosiddetta “sala barellati” comporta promiscuità e assenza di privacy, oltre a notevoli difficoltà nella gestione delle urgenze in attesa.

Non diventino quindi gli infermieri il capro espiatorio di una sanità allo sfascio. I professionisti infermieri, così come tutti i professionisti sanitari (quelli con la P maiuscola), siano messi in grado di fare al meglio ciò per cui sono preposti, piuttosto che sminuirne capacità e ruolo professionale.

Simone Gussoni

Fonte: Brindisireport

 

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