Questo esame ematico potrebbe risultare utile per i pazienti già affetti da patologia oncologia.
Il CancerSeek, un esame ematico oggetto di studio in centinaia di ricerche attive a livello mondiale, potrebbe rivoluzionare la lotta contro le patologie oncologiche. La sfida di molti ricercatori è sempre stata quella di poter diagnosticare la presenza di un tumore in fase precoce con un esame il meno invasivo possibile.
Il test sperimentato non svelerebbe il cancro in fase iniziale, ma potrebbe risultare utile per i pazienti già affetti da patologia oncologia. Poter realizzare un test universale, di semplice esecuzione, effettuabile a tutte le persone sane, magari una volta l’anno, è il sogno di molti studiosi. Un esame ad altissima precisione, che possa scovare le prime cellule cancerose, permettendo quindi di intervenire sulla malattia poco dopo l’esordio.
I ricercatori americani della Johns Hopkins University di Baltimora hanno pubblicato sulla rivista Science i risultati di un loro studio su un test in grado di individuare nel sangue tracce di otto tipi di cancro differenti. Ben 1.005 pazienti che avevano già ricevuto la diagnosi per una delle otto forme di tumore studiate (ovaio, fegato, stomaco, pancreas, esofago, colon retto, polmone, seno) sono stati sottoposti all’esame ematico. Tutti i pazienti non presentavano alcuna metastasi e per tutti è stato utilizzato il test ematico CancerSeek.
L’età media dei pazienti, al momento della diagnosi, era di 64 anni. Il 49% dei pazienti presentava un tumore al II stadio, il 20% dei pazienti al I stadio e il 31% al III stadio. Lo studio ha anche reclutato 812 individui sani con età media di 55 anni, senza alcuna storia clinica per patologie oncologiche. Costoro sono stati utilizzati come popolazione di controllo. I pazienti sottoposti a precedente terapia neoadiuvante o con tumore al IV stadio dopo asportazione chirurgica sono stati esclusi dallo studio.
L’esame ematico CancerSeek è stato utilizzato per individuare la presenza di mutazioni genetiche in 2.001 posizioni nel genoma dei 16 geni analizzati. Il risultato di ogni paziente è stato classificato come positivo allorché la frequenza di una mutazione in uno dei 16 geni, o il livello in una delle 8 proteine o la combinazione dei due fattori, risultavano particolarmente elevate rispetto alla popolazione di controllo. L’algoritmo ha previsto l’utilizzo di analisi statistiche per determinare la sensibilità mediana e la specificità attraverso 10 iterazioni di 10 convalide incrociate.
“Una delle principali caratteristiche in un test di screening è la capacità di individuare un tumore in fase primitiva”, specificano i ricercatori. La sensibilità media del test CancerSeek è risultata essere del 73% per i tumori al II stadio, del 78% per quelli al III stadio e inferiori al 43% per i tumori al I stadio. Per questi ultimi la sensibilità massima ha riguardato i carcinomi epatici (100%), mente la sensibilità inferiore ha riguardato il cancro all’esofago (20%).
La sensibilità media nel diagnosticare tumori per le otto categorie precedentemente citate è risultato essere del 70%. Il risultato più soddisfacente è stato per il carcinoma ovarico (98%), fino a un minimo del 33% per il carcinoma mammario. La specificità del CancerSeek è risultata essere superiore al 99%, con uno score positivo solo per 7 degli 812 individui sani.
Secondo il dottor Lennon, i 7 risultati ottenuti sui soggetti sani sarebbero presumibilmente falsi positivi: “Tuttavia non sarebbe da escludere la possibilità che i soggetti in questione avessero un cancro non diagnosticato e fossero asintomatici. Sfortunatamente non abbiamo effettuato alcun follow-up”.
Tra gli autori dell’indagine anche un italiano: Massimo Falconi, primario dell’unità di Chirurgia del pancreas dell’IRCCS – Ospedale San Raffaele di Milano. Occorre tempo perché l’esame si dimostri utile sulla popolazione sana. La dimostrazione di un’elevata capacità di rilevare un tumore in stadio avanzato non significa che il test sia automaticamente in grado di scoprire anche quelli agli stadi iniziali.
Simone Gussoni
Fonte: Medscape
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