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Finalmente sciopero: che sia un punto di partenza, non di arrivo

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Finalmente sciopero: che sia un punto di partenza, non di arrivo
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La manifestazione del 23 febbraio deve essere l’inizio di una battaglia per la dignità professionale degli infermieri.

E sciopero sarà, finalmente.  Il 23 febbraio gli infermieri italiani incroceranno le braccia, ma non sarà e non può essere un punto di arrivo. Anzi, dovrà essere un punto di partenza. Il punto di partenza per il riscatto della nostra professione.

Già da molto tempo vado predicando il bisogno di unità tra le diverse anime della professione. La notizia che, dopo tante contrapposizioni e incomprensioni, i due sindacati di categoria, Nursind e Nursing Up, si trovano uniti in questa iniziativa (probabilmente spinti anche da una richiesta che sale impellente dalla base, dagli infermieri nelle corsie e nei servizi) non può che far piacere. Per certi versi è una notizia di rottura.

Detto questo, e dato atto alle due organizzazioni sindacali di aver messo in piedi insieme questa iniziativa, devo però anche dire altre cose. E lo devo fare per onestà intellettuale. La prima è che lo sciopero pare tardivo e, quindi, poco o nulla potrà incidere sulla parte economica di questo contratto: i giochi economici sono già delineati e difficilmente si potrà arrivare a modifiche. E se anche ci si arrivasse, è bene dirlo subito, non potranno che essere irrisorie.

A questo punto il grosso della partita si sposta sulla parte normativa, per un indispensabile azione di contrasto a diverse nefandezze che si celano tra le righe del contratto. Quello che vorrebbero farci accettare, infatti, altro non è che una deroga alla Legge 161/2014, che recepisce la Direttiva europea 88/2003, riguardante i turni di servizio. C’è il rischio che si giunga addirittura a mettere in discussione lo stesso diritto al riposo settimanale.

Questo aspetto contrattuale è, se possibile, ancora più mortificante della “mancetta” economica, e di gran lunga peggiorativo di ciò che c’era prima. Inoltre può influire negativamente sul problema occupazionale: invece di assumere i 47mila infermieri che mancano all’appello delle piante organiche, si sceglie, tra l’altro illegalmente, di spremere ulteriormente i pochi e anziani infermieri rimasti in servizio. Già questo basta a giustificare la levata di scudi dei sindacati di categoria.

Come ho detto, difficilmente si potrà influire significativamente sulla parte economica. Ma di fronte a una proposta contrattuale simile sarebbe stato indecoroso per qualunque sindacato restare in silenzio. Di qui la scelta di scioperare. Una scelta, però, che non può né deve essere un punto di arrivo o un’operazione di facciata. Deve essere, semmai, una scelta di sostanza e un punto di partenza.

Perché, se per questo contratto i giochi sono ormai fatti, per il prossimo (2019) sono tutti da fare. C’è tutta una piattaforma da mettere in campo ed è quindi necessario il massimo impegno, oltre che la massima partecipazione a questo sciopero. Un impegno che dovrà essere di tutti e una partecipazione massiccia, perché oggi non è più questione di pochi spiccioli in più, ma è questione di dignità dei professionisti infermieri. Dobbiamo dimostrare coi fatti di non averla definitivamente persa.

Qualcuno mi dirà: scioperare significa garantire i servizi minimi, e già tutti lavoriamo sotto il minimo; quindi, in quanti potremo scioperare? Be’, io credo che un’azione di questo tipo possa articolarsi in diversi modi. Chi può, deve aderire. Chi non è di turno partecipi alla manifestazione. Ma anche chi è nelle corsie e nei servizi, dopo aver dato un congruo avviso (almeno una decina di giorni).

Tutti, ma proprio tutti, smettiamo di compensare le carenze strutturali del personale di supporto, iniziando almeno una settimana prima dello sciopero a fare esclusivamente il nostro lavoro. Ecco, già questo creerebbe un tale subbuglio e un tale disagio alle organizzazioni sanitarie da rendere la presenza in servizio di chi non può scioperare pari allo sciopero stesso.

Rivolgo quindi un appello alle organizzazioni sindacali: predisponete quanto necessario per attivare anche questa modalità, facendo pervenire al Governo, alle Regioni, alle Aziende e anche all’Ordine professionale una missiva per esprimere e denunciare quanto sopra detto. E i colleghi facciano la stessa cosa, scrivendo queste cose al responsabile della loro U.O. e al loro Ordine provinciale. Non abbiamo molto tempo, perciò sfruttiamolo al meglio. Tutti si rendano conto di ciò che siamo e che valiamo, ma pure di quanto siamo determinati a non cedere nemmeno di un millimetro.

Partendo da questa importantissima giornata, da una grande dimostrazione di forza, si inizi poi a pensare e a costruire il prossimo contratto: una piattaforma che dovrà contenere punti fermi e condivisi da tutti:

  • Contrattazione separata fuori dal comparto.
  • Fine del demansionamento.
  • Fine dello sfruttamento del lavoro in affitto (P.I.).
  • Aumenti salariali di base consistenti e sufficienti a ridare dignità alla professione.
  • Competenze avanzate per tutti e retribuite adeguatamente (no al sistema degli incarichi).
  • Assunzioni fino a coprire tutti i posti vacanti.
  • Formazione obbligatoria (ecm), garantita dalle aziende gratuitamente e in orario di servizio.
  • Garanzia del tempo di cambio (consegne) e di vestizione.
  • Possibilità di superamento del vincolo di esclusiva o, in alternativa, sua remunerazione adeguata.

Ecco, direi che di carne al fuoco ce n’è abbastanza, ma credo che d’ora in avanti questi dovranno essere obiettivi irrinunciabili per la nostra professione. Il loro perseguimento dovrà essere un impegno personale di ognuno di noi, perché c’è bisogno di tutti, ma proprio di tutti. Spero che presto si possa aprire un tavolo su cui riunire tutte le anime della professione: Ordine, sindacati, stampa di settore, movimenti, società scientifiche e quant’altro si muove all’interno della professione stessa. E spero che, una volta creata questa piattaforma condivisa, ognuno contribuisca alla sua realizzazione.

Perché questa, lo ribadisco, non è una battaglia per pochi spiccioli. Questa è una battaglia per il nostro futuro. E noi tutti la dobbiamo combattere insieme. Dobbiamo farlo per noi stessi, per la nostra dignità di professionisti, per i nostri figli, per i nostri colleghi e, in fondo, anche ai nostri pazienti.

Angelo De Angelis

 

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