Ben 53 studi hanno riscontrato una correlazione tra la fede religiosa e una minore intelligenza
Secondo i ricercatori, i fedeli avrebbero un cervello “meno allenato” degli atei. Questo perché le religioni “hanno premesse irrazionali, non fondate su basi scientifiche e non verificabili che non attraggono chi è intelligente“.
Lo studio, intitolato “The Relation Between Intelligence and Religiosity: A Meta-Analysis and Some Proposed Explanations” e ripreso sul quotidiano inglese The Independent, è frutto dei ricercatori dell’Università di Rochester ed è stato supervisionato dal Prof. Miron Zuckerman.
La definizione attribuita al termine “intelligenza” dal team di psicologi è la seguente: “abilità di ragionare, risolvere problemi, pensare astrattamente, capire idee complesse, imparare velocemente e apprendere dall’esperienza”.
Mentre per descrivere il “credo” è stata utilizzata la seguente definizione: “il coinvolgimento in alcuni (o tutti) gli aspetti della religione”.
La correlazione negativa fra IQ e fede inizierebbe dall’infanzia: secondo lo studio, i bambini che manifestano un maggiore acume sono anche i primi ad allontanarsi dal credo in una religione.
La situazione sarebbe speculare anche in vecchiaia: i non credenti anziani avrebbero difatti un intelletto sopra alla media.
In uno degli studi presi in considerazione da Zuckerman, ha seguito durante la loro vita 1.500 bambini dotati di QI 135, sopra alla media, a partire dal 1921.
Il risultato ottenuto ha nuovamente confermato come dall’infanzia fino alla tarda età i soggetti con quoziente intellettivo sopra alla media abbiano dimostrato un livello di religiosità nettamente inferiore alla media.
Giudicando il numero elevato di studi effettuati appare evidente come questa non rappresenti un’idea nuova e isolata.
Anche il professore emerito dell’Università di Ulster, Richard Lynn, ha sostenuto questa teoria nel 2008: secondo il luminare la maggioranza dell’elite intellettuale britannica si considera atea.
Il declino delle religioni nell’emisfero occidentale sarebbe quindi avvenuto di pari passo con l’aumento delle facoltà intellettive.
Va sottolineato come questo tipo di studi esponga i responsabili a pesanti critiche spesso dovute a pregiudizi o razzismo.
Occorre inoltre sottolineare che la maggioranza dei credenti, oggigiorno, viva in paesi in via di sviluppo. Questo fattore risulterebbe decisivo nel far pendere l’ago della bilancia dalla parte di quella che si considera ‘ignoranza’.
Spesso è spesso correlata a sistemi scolastici meno sviluppati o livelli di alfabetizzazioni inferiori.
Ci sarebbero pareri discordanti anche per quanto concerne la definizione di intelligenza: secondo alcuni ricercatori devono essere considerati anche fattori quali la sensibilità e l’emotività.
D’altro canto, un altro grande intellettuale scriveva: “Un uomo può ignorare di avere una religione, come può ignorare di avere un cuore. Ma senza religione, come senza cuore, un uomo non può esistere” (L. Tolstoj, 1983).
Simone Gussoni
Fonte: journals.sagepub.com
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