Uno studio italiano ha ottenuto importanti risultati per aiutare a smascherare i mille volti della malattia, che ad oggi interessa un bambino su 110
Una nuova ricerca, portata avanti dai ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Rovereto e dell’Università di Pisa ha mostrato come tra le presunte cause di autismo ci sia una vera e propria “zampata” da parte del Dna che taglia i “ponti” nel cervello, dando luogo a una delle forme più comuni della malattia.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Brain e finanziato dalla statunitense ‘Simons Foundation for Autism Research Initiative’, è stato condotto in collaborazione con le Università di Torino e Verona, il Laboratorio europeo di biologia molecolare a Monterotondo, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Catanzaro e il S. Anna Institute and Research in Advanced Neuro-Rehabilitation a Crotone.
Gli esperti hanno praticamente ricostruito in 3D il cervello di 30 bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, tutti portatori della stessa mutazione genetica (conosciuta con il termine scientifico di ‘delezione 16p11.2’), così da studiare le alterazioni delle connessioni cerebrali tipiche di questa forma della patologia.
Ciò che si è osservato spiega molte cose: sembra proprio che la corteccia prefrontale dei soggetti rimanga isolata e non riesca a comunicare normalmente con il resto del cervello, dando così vita ai sintomi specifici dell’autismo, come un ridotto interesse ad instaurare relazioni sociali e problemi della sfera comunicativa.
Altresì, è stata condotta un’indagine parallela su modelli animali portatori della stessa mutazione genetica, che ha dato modo di osservare gli stessi deficit di connettività e una riduzione del dialogo fra le stesse aree corticali interessate nei bambini. Ma non solo, perché come ha spiegato Massimo Pasqualetti dell’Università di Pisa ad ANSA: “Grazie a questa analisi parallela siamo riusciti ad esaminare le connessioni neuronali a livello neuroanatomico fine, cioè con un dettaglio estremo, scoprendo, attraverso lo studio sui modelli animali, quali siano le anomalie strutturali potenzialmente all’origine dei difetti di connettività cerebrale riconducibili allo specifico disturbo dello spettro autistico riscontrato nei bambini portatori della delezione 16p11.2”.
Alessandro Gozzi dell’Iit di Rovereto, invece, ha fatto il punto sulle prospettive di studio che questa nuova ricerca sta aprendo di fronte alle menti degli sceinziati: “Ci aspettiamo che questo tipo di approccio permetta di identificare in maniera oggettiva quante e quali forme di autismo esistano un prerequisito fondamentale per l’identificazione di future terapie mirate”.
Anche perché come affermato in questi giorni all’Agenzia Dire dal neuropsichiatra infantile (nonché direttore dell’Unità Complessa di Salute mentale dell’età evolutiva della Asl Roma 3) Enrico Nonnis, che il prossimo 14 giugno riassumerà in pillole i nuovi dati sull’autismo nel convegno “La questione dell’autismo: aspetti diagnostici ed epidemiologici” in programma presso l’Università La Sapienza di Roma: “C’è un’escalation preoccupante delle diagnosi di autismo non solo in Italia ma anche all’estero. Assistiamo a una maggiore sensibilizzazione rispetto alle diagnosi con strumenti diagnostici più attendibili, ma negli Stati Uniti alcune ricerche affidabili parlano di numeri inquietanti”. Ovvero di un soggetto autistico ogni 110 di oggi, contro uno su 5000 degli anni ’70 (secondo i dati del primo studio pilota di prevalenza dell’autismo in ambito europeo e dello studio dell’Istituto Superiore di Sanità condotto al Nord, al Centro e al Sud Italia).
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