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Protocollo Csm-Cnf-Fnopi, per l’Aadi sussiste lesione di principi di diritto sostanziale

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Aadi: Il mero svolgimento di attività di coordinamento non può automaticamente dare diritto alle relative indennità
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Riceviamo e pubblichiamo il seguente commento a cura dell’Associazione avvocatura di diritto infermieristico.

E di questi giorni la notizia dell’avvenuto accordo tra CSM-CNF e FNOPI, stilato a seguito dell’operatività della legge 8 marzo 2017 n. 24 c.d. legge Gelli-Bianco che all’art. 15 (“Nomina dei consulenti tecnici d’ufficio e dei periti nei giudizi di responsabilità sanitaria”) prevede appunto che nei procedimenti civili e nei procedimenti penali  aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l’autorità giudiziaria affida l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano  specifica pratica conoscenza di  quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici  d’ufficio da  nominare nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 8, comma 1, siano in possesso  di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi.

La finalità dell’accordo stilato dalla FNOPI, come il precedente stilato con la FNOMCeO, era quello di far rispettare la novella normativa, oltre che un’idonea attribuzione degli incarichi peritali evitando così le illegittime situazioni nelle quali erano sempre gli stessi soggetti ad essere individuati e successivamente nominati come periti o consulenti, nonché, a definire finalmente dei criteri di tenuta dell’albo dei periti e CTU che fossero espressione condivisa non solo delle istituzioni giudiziarie ma anche di quelle professioni che avrebbero poi in seguito dovuto esprimersi con le relative attività peritali.

Si è deciso quindi di comune accordo tra le istituzioni giudiziarie e le istituzioni mediche ed infermieristiche, di elaborare un protocollo d’intesa che garantisse una revisione sistematica degli albi tenuti presso i tribunali Italiani, in base a criteri standard ed omogenei, garantendo al contempo una distribuzione più equa degli incarichi ed una certificazione delle competenze dei professionisti ivi iscritti.

Ora senza voler entrare nel merito della scelta fatta dalla presidente FNOPI, la dott.ssa Barbara Mangiacavalli, di avvalersi solo ed esclusivamente di pochi fortunati escludendo di fatto i rappresentanti delle associazioni maggiormente rappresentative a livello infermieristico-legale come l’AADI e l’APSILEF,  avrà avuto le sue ragioni, quello che però è doveroso denunciare è che, probabilmente, chi ha stilato il protocollo unitamente alla summenzionata Presidente pensando di compiere una rivoluzione copernicana, in realtà, ha creato un precedente ed un vulnus che non ha eguali se si confrontano tutti gli altri protocolli sia medici che di altre professioni sanitarie.

Infatti, se paragoniamo il protocollo della FNOMCeO con quello della FNOPI si leggono moltissime similitudini, anche troppe, ma analizzando bene il contenuto dell’accordo si notano degli errori formali, anzi, grossolani che dimostrano la scarsa dimestichezza con il diritto da parte di chi ha deciso i punti dell’accordo stesso.

Confrontando gli accordi possiamo notare che nel protocollo FNOMCeO nell’articolo che riguarda la “valutazione delle speciali competenze” (art. 6, co. 2), dopo aver premesso che la speciale competenza non si esaurisce con il mero possesso dei titoli di specializzazione, ma si sostanzia nella concreta conoscenza tecnica e pratica della disciplina come emerge dal curriculum formativo-scientifico e dall’esperienza professionale del singolo esperto, al successivo co. 4, lett. a), b), c), d) ed e), si evidenziano quali possono essere gli elementi di valutazione da considerare; nulla da obiettare.

Orbene, al successivo co. 7, però, correttamente, ad avviso dell’AADI si deroga al requisito del “periodo minimo successivo al conseguimento della specializzazione di cui alla lett. a)” considerando appunto la peculiarità del percorso di specializzazione dei medici legali volto a fornire competenze funzionali alla collaborazione con l’amm.ne giudiziaria e con gli operatori del diritto (avvocati, magistrati).

Tradotto, visto che durante il corso di specializzazione in medicina legale si fa pratica ed esperienza in campo clinico-diagnostico-terapeutico, ma anche relativamente alla stesura di perizie rispetto a casi concreti con l’utilizzo di termini e specificità appartenenti al mondo del diritt, è plausibile derogare all’esperienza minima richiesta dei 5 anni.

Non solo, al successivo art. 6, co. 11 si fa specifica raccomandazione che “l’assenza di precedenti incarichi come perito o CTU, non precluda la prima iscrizione o la riconferma all’interno dell’albo, poiché la circostanza non è necessariamente ricollegabile al merito o demerito dell’esperto, mentre potrà essere solo successivamente valutata dal magistrato in sede di scelta dell’esperto omossis”. Un’osservazione del tutto coerente e legittima, in linea con le rimostranze che spesso l’AADI ha fatto ai Presidenti delle Corti distrettuali, poiché all’interno dei moduli di prima iscrizione relativamente agli albi dei periti o CTU sono espressamente richiesti il numero di incarichi precedentemente svolti, una contraddizione in termini; infatti se non si è iscritti nell’albo presso i Tribunali non si può certo aver avuto altri incarichi o precedenti esperienze, un ossimoro che ci perseguita e che finalmente la lungimiranza della FNOMCeO ha risolto con un semplice comma.

Inoltre, in nessuna parte dell’accordo si fa menzione a procedimenti disciplinari a carico dello specialista/esperto da parte del datore di lavoro se dipendente pubblico o privato, conclusisi con la sanzione o addirittura ancora pendente che quindi potrebbero concludersi non solo con una sanzione ma anche con una archiviazione.

L’unico punto in cui correttamente, si fa menzione di eventuali comportamenti disciplinarmente rilevanti è all’art.  9, co. 2 nel quale si evidenzia che “per la riconferma dell’iscrizione presso gli albi, si procede ad una doppia verifica; una della volontà dell’esperto di riconfermare la propria iscrizione; l’altra nella verifica nel venir meno dei requisiti di onorabilità e di professionalità che possano aver generato provvedimenti disciplinari previsti dai codici di rito da parte del Presidente del Tribunale presso il quale è iscritto l’esperto”.

Nulla da obiettare in merito alla stesura del predetto protocollo è perfetto così com’è.

Ma se analizziamo invece quello stilato successivamente con la FNOPI saltano agli occhi delle incongruenze grossolane, oltre che limitanti lo sviluppo di una adeguata professionalizzazione della figura infermieristica. Vediamo quali sono queste incongruenze:

  • Il primo grossolano errore è quello di non aver previsto come per il protocollo redatto dalla FNOMCeO (in caso di specializzazione in medicina legale, art. 6, co. 7) una deroga al requisito dell’esperienza professionale. Infatti nel protocollo FNOPI all’art. 6, co. 4 lett. a) si prevedono ben 10 anni di esperienza contro i 5 del protocollo FNOMCeO e senza alcuna deroga. In questo caso quindi, giustamente, i medici pretendono che possa escludersi l’esperienza professionale minima di 5 anni quando si ha una specializzazione proprio in medicina legale. Mentre nel protocollo della FNOPI (art. 3, co. 5, lett. a) i redattori hanno preso degli abbagli madornali. Non hanno previsto infatti nessuna deroga in caso di specializzazione post universitaria in infermieristica legale e forense, della serie, facciamoci del male da soli. Mentre le altre professioni sanitarie, medica compresa, si limitano ad inserire clausole minime di salvaguardia noi invece ci diamo la zappa sui piedi. A volte siamo capaci di iperboli ideologiche che minano alla base la stessa credibilità della professione.
  • Altro punto del tutto illegittimo e pregiudiziale che lede le basi del diritto sostanziale è l’aver introdotto all’art. 3, co. 5, lett. c) (“l’assenza negli ultimi 5 anni di sospensione disciplinare e nell’assenza di qualsiasi procedimento disciplinare in corso”) un clamoroso autogol che nessuno avrebbe mai potuto inserire in qualsivoglia protocollo poiché è impeditivo e lesivo del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e del principio di non colpevolezza di cui all’art. 27, co. 2 Cost.

Come dire, se sei dipendente privato o pubblico e sei stato sottoposto a contestazione disciplinare negli ultimi 5 anni, anche con la sanzione del richiamo verbale, ovvero, una reprimenda senza strascichi disciplinari di nessun tipo, non sei degno di poter iscriverti agli albi dei periti e dei consulenti.

Ma c’è di più, se nel mentre decidi di fare domanda di iscrizione all’albo presso i Tribunali ti imbatti in una contestazione disciplinare da parte del tuo datore di lavoro, ancorché tu non sia stato ancora giudicato, non potrai comunque iscriverti, neanche con riserva. Un vulnus senza precedenti nel diritto Italiano, si concede la presunzione di innocenza anche ai pluriomicidi, ma agli infermieri no, non gli si permette di esercitare il diritto di difesa che è alla base di qualsiasi stato di diritto, anche nel fascismo era consentito difendersi, ma nel protocollo FNOPI no.

Orbene, non è concesso agli infermieri di essere giudicati in via definitiva, ma li si considera comunque e sempre colpevoli. È evidente che i redattori del protocollo in oggetto facenti parte della consulta FNOPI non hanno una ben che minima conoscenza dei principi ispiratori della nostra carta costituzionale che prevede l’innocenza del indagato e del condannato fino a sentenza passata in giudicato, probabilmente hanno scopiazzato questo comma da qualche regolamento aziendale inerente le posizioni organizzative o l’accesso ai concorsi per il coordinamento senza saperlo adeguare alla fattispecie del protocollo. Una ignominia che solo gli infermieri potevano prevedere per loro stessi a dimostrazione che i nemici degli infermieri sono gli infermieri stessi e la loro ignoranza del diritto.

I medici, attraverso la loro rappresentanza istituzionale hanno dimostrato per l’ennesima volta la loro lungimiranza e la loro capacità di autotutela dinanzi a qualsivoglia istituzione, norma o precetto che tenti di delegittimarli, limitarli o screditarli, di contro, gli infermieri come al solito si sono autoflagellati redigendo un protocollo che fa acqua da tutte le parti e che ha scatenato la resistenza di una fetta importante del panorama professionale che giustamente è indignato e deluso della scarsa competenza di coloro i quali nelle stanze segrete, aperte solo ai soliti noti, hanno premuto i bottoni dell’autodistruzione senza alcuna legittimazione.

Chi quindi oggi, difende l’accordo come fosse una rivoluzione senza precedenti sbandierandola ai quattro venti, o è in mala fede o ha grosse carenze di conoscenza del diritto e quindi è giusto che venga esonerato dal fare attività che hanno a che fare con il mondo del diritto. Dovremmo imparare un po’ di più dalla categoria medica per quanto riguarda la tutela dell’immagine e della professionalità in tutti i campi nella quale essa si esprime invece di scopiazzare anche male.

Il direttivo AADI

 

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