La donna aveva convenuto in giudizio la Asl di appartenenza, responsabile di averla adibita a “mansioni inferiori” per carenza di Oss.
Chiedeva di essere destinata a svolgere le mansioni proprie alla categoria professionale di appartenenza e avanzava una pretesa risarcitoria nei confronti dell’Asl di appartenenza, pari al 50% della retribuzione netta percepita durante gli otto anni di demansionamento. Il Tribunale di Brindisi, con sentenza n. 1306/2017, ha dato ragione a un’infermiera che aveva convenuto in giudizio l’Azienda sanitaria per aver costretto lei e i suoi colleghi a svolgere mansioni alberghiere a causa della carenza di personale Oss e Ota (addirittura assente nel reparto dell’infermiera).
Qualora ve ne fosse bisogno, il giudice ha chiarito che l’infermiere è un operatore sanitario in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale. Egli è responsabile dell’assistenza generale infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa e di natura tecnica, relazionale, educativa. Le sue principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria.
L’infermiere, inoltre, partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività e ne identifica i bisogni di assistenza infermieristica. E ancora, tra l’altro, pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico, oltre a garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche. Infine, svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o liberoprofessionale.
La figura dell’infermiere, pertanto, va distinta da quella dell’operatore sociosanitario. Quest’ultimo coadiuva il medico, e soprattutto gli infermieri, nello svolgimento delle loro attività. In particolare si dedica, in ambito ospedaliero, ai bisogni primari dei pazienti e alle attività igienico-domestico-alberghiere. Pertanto, può essere considerato come una figura di supporto.
Lo svolgimento da parte dell’infermiere dei compiti propri dell’Oss integra, pertanto, un demansionamento. Per il lavoro pubblico, si tratta di una pratica vietata dalla legge (art. 52 decreto legislativo n. 165/2001). Il divieto di demansionamento trova alcune eccezioni solamente laddove le funzioni vengano modificate, se per breve tempo, e comunque il lavoro demansionato abbia carattere occasionale. Peraltro, va comunque consentito lo svolgimento in modo prevalente delle funzioni proprie della qualifica di appartenenza.
Dalle prove testimoniali è emerso come il demansionamento dell’infermiera in questione fosse sistematico, e quindi illegittimo. Per il Tribunale, infatti, doveva ritenersi provato “il dato della adibizione del ricorrente in modo non isolato, e tale da condizionare il pieno e satisfattivo svolgimento delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza a mansioni inferiori”.
Quanto alla pretesa risarcitoria, il giudice ha infine tenuto conto dell’anzianità lavorativa della ricorrente, della durata del demansionamento e della sua gravità. Sulla base di tali elementi ha ritenuto che il ristoro potesse essere commisurato al 6% della retribuzione percepita negli ultimi 8 anni.
Redazione Nurse Times
Fonte: www.responsabilecivile.it
Lascia un commento