Alcune considerazioni del collega Antonio Caracallo, che lavora in una nursing home di Dublino.
Partendo dal presupposto che la figura infermieristica italiana, negli ultimi anni, fatica a trovare una collocazione sociale ed economica, mi duole dire che siamo a un punto di non ritorno. Il rapporto infermiere-paziente è disastroso ed è scientificamente dimostrato che un infermiere non può “gestire” più di un certo numero di pazienti. Non siamo nullafacenti, siamo il fulcro della sanità. La sanità italiana è una delle migliori al mondo, come dimostrano i premi vinti dai luminari e le tipologie di interventistica 2.0, ma la nostra professione resta ancora ferma.
Trasferirmi all’estero è stata una scelta dettata dalla precarietà e dalle spese di vivere da solo. Non me ne pento, ma resta il rammarico di vedere la mia professione calpestata e umiliata da chiunque abbia il diritto di parola: giornalisti che piazzano il titolo a effetto, salvo spiegare nelle colonne dell’articolo che “non era un infermiere”; un imprenditore che manda chi non ha voglia di studiare a fare l’infermiere; cariche infermieristiche che, invece di sostenerci, invitano all’umiltà e al sorriso.
Ultimo, in ordine cronologico, il test di ammissione alla Magistrale, col polverone alzato da una domanda che chiedeva l’angolo d’azione di una scopa, a trapezio per la precisione… Non vi nascondo che all’inizio ho riso. Poi, però, ho riflettuto e ho avvertito un senso di disgusto. Ho iniziato a pensare ai sacrifici fatti da studente fuori sede, con pochissimi soldi e le spese di una stanza condivisa, l’autogestione, le feste comandate saltate per quel lavoretto che mi faceva racimolare qualche spicciolo per pagarmi l’università dei miei sogni.
Mi rivolgo a chi non è infermiere e a chi lo sarà: non fatevi abbindolare dal prestigio che vi inculcano. Al primo anno mi insegnarono il rifacimento del letto, ma solo dopo scoprii che non era di nostra competenza. Nelle mie due esperienze lavorative, il rifacimento del letto e le cure igieniche erano affidate all’infermiere. E l’ho accettato, perché da precario non avevo scelta. Concorsi fatti e curriculum inviato senza successo, per non parlare di partite Iva con compensi da fame. Insomma, messo alle corde, sono partito per l’Irlanda, dove vivo tuttora.
Questo per dire che io ricordo bene i sacrifici fatti, e per questo mi da fastidio che molti colleghi accettino proposte ridicule, che minano la sicurezza dei pazienti e degli stessi infermieri. Lasciare la propria famiglia, gli amici, le abitudini non è facile. Mai nessuno dovrebbe essere “costretto” a lasciare la propria terra. Se però le condizioni sono queste, non c’è scelta. Combatterò insieme ai miei colleghi anche da lontano: imporsi è l’unica cosa che possiamo fare.
Chi di dovere ci ha voltato le spalle, offrendo solo un “contentino” economico, che nulla cambia. Anzi, getta benzina sul fuoco. Siamo diventati uno strumento politico e di sindacato. Ho sempre pensato che la politica dovesse restare fuori dagli ospedali, per evitare i soliti favori che ci hanno fatto vedere nel tempo.
Con questo articolo spero di riuscire ad aiutare chi ancora oggi non sa che fare: partire, non partire, iscriversi all’università, scegliere altro… Posso assicuravi che l’infermiere è la professione più bella del mondo, riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Non lasciatevi abbattere. Denunciate e mettete per iscritto ciò che non va, rivolgendovi a chi di competenza per fare chiarezza.
Abbiamo le armi per andare avanti, la capacità intellettuale e la forza per fare meglio. Non facciamoci la guerra tra noi; non serve a nulla, se non ad alimentare polemiche sterili. Chiediamo solo rispetto dai cittadini, ma prima ancora dalle istituzioni, che promettono e ripromettono sempre le solite cose. Se un neolaureato esce dall’università già stanco, avvilito e demotivato, bisogna porsi alcune domande. Alle quail, prima o poi, qualcuno dovrà rispondere.
Antonio Caracallo
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