La scarsa confidenza del medico col modello Da Vinci contribuì al tragico esito di un intervento di riparazione della valvola mitralica.
È iniziato in questi giorni il processo relativo a un intervento pionieristico di chirurgia robotica, condotto nel febbraio 2015 presso l’ospedale Freeman di Newcastle, nel nord del Regno Unito, e fallito in modo catastrofico, con la morte del paziente.
Nel racconto dei testimoni e degli inquisiti, durante un’operazione condotta per riparare la valvola mitralica dell’insegnante di musica in pensione e direttore d’orchestra Stephen Pettitt, a un certo punto uno degli assistenti è stato colpito alle braccia dal robot Da Vinci, che veniva impiegato per la prima volta in Uk. Durante tutta la durata dell’intervento, inoltre, la comunicazione tra il primo chirurgo, dottor Sukumaran Nair, e il suo aiuto, dottor Thasee Pillay, è risultata estremamente difficile a causa del suono “metallico” proveniente dalla console gestita da Nair.
Dinanzi ai giudici, Pillay ha affermato come avesse dovuto alzare la voce, quando il robot aveva colpito uno degli strumentisti e quando si era reso conto che le suture al cuore del paziente 69enne non venivano posizionate in “modo organizzato”. Per giunta, quando le cose erano iniziate ad andare male, due proctors (supervisori esperti pronti a subentrare in caso di emergenza) se ne erano già andati.
Il dottor Pillay aveva ritenuto che si fossero recati al bar per una pausa, quando in effetti avevano lasciato l’ospedale ed erano tornati a casa a metà della procedura. Non erano quindi a disposizione per intervenire quando il setto intraortico del paziente era stato danneggiato e Nair non era più in grado di vedere chiaramente, perché il sangue era schizzato sulla lente del robot. Il Da Vinci era stato perciò abbandonato e si era deciso di procedere manualmente e a cielo aperto, quando il cuore del paziente era già malfunzionante. L’ex direttore d’orchestra è poi deceduto, dopo essere andato incontro a un’insufficienza multiorgano.
Durante l’udienza, Pillay ha raccontato che si trovava a pochi passi dal paziente, mentre il chirurgo principale aveva il viso rivolto ad una console, lontano da lui. Mentre cercava di sentire la voce dell’altro chirurgo attraverso un microfono, l’aiuto era talvolta costretto a gridare, poiché l’acustica non era buona e la voce giungeva distorta e metallica: “Ci sono state occasioni in cui ho alzato la voce, come quando le suture non sono state posizionate in modo organizzato ed incrociate”. I punti, pertanto, erano stati rimossi e sostituiti, il che aveva prolungato il tempo dell’operazione.
Ben altra la versione di uno degli anestesisti dell’intervento, Anthony George, secondo cui il primo operatore, Nair, era a conoscenza del fatto che i supervisori intendevano partire all’ora di pranzo e non tornare, ma aveva comunque scelto di andare avanti senza di loro.
Secondo George, i problemi di comunicazione tra i due chirurghi sono stati “la ragione essenziale del fallimento”: sembrava che entrambi non fossero in grado di dire cosa l’uno stesse dicendo all’altro ed erano anche in disaccordo sulla collocazione delle suture nel cuore di Pettitt.
Il dottor George ha inoltre affermato: “I supervisori sarebbero dovuti restare per tutto l’intervento; il loro allontanamento è stato decisivo. Se i chirurghi fossero stati in grado di posizionare i punti di sutura in modo preciso e corretto, il risultato sarebbe stato diverso”.
Nella testimonianza resa in udienza è stato evidenziato che la procedura robotizzata è continuata anche dopo che l’anestesista aveva esternato le sue preoccupazioni sulla riuscita dell’operazione. Alla domanda se fosse stato in grado di esprimere i suoi timori con maggiore incisività, George ha risposto: “Espressi la mia preoccupazione verso entrambi i chirurghi sul fatto che le cose non stessero procedendo bene. Il rapporto su questo incidente ha stabilito che non era mio compito insistere con i chirurghi, ed è esattamente questo quello che ho fatto”.
Il chirurgo responsabile dell’intervento, ascoltato dai giudici, ha ammesso che i suoi tempi di clampaggio incrociato (traduzione letterale, dall’inglese cross-clamp, ndr) in operazioni non robotiche erano lenti, e passare a procedure robotiche era un passo prematuro. Nair ha dichiarato anche: “All’epoca avrei dovuto acquisire più esperienza, in modo da rendere più brevi i miei tempi di clampaggio”.
Per giunta, non aveva ancora maturato sufficiente esperienza nell’impiego del robot. Aveva infatti saltato una sessione di training a Parigi, che prevedeva il ricorso a un cadavere, e un’altra nel suo ospedale, perché impegnato in altri interventi chirurgici. Nonostante ciò, aveva comunque deciso di condurre l’operazione per riparare la valvola mitralica di Pettitt, usando per la prima volta il Da Vinci.
Parlando del consenso del paziente, Nair ha inoltre riconosciuto responsabilità importanti: “Gli avevo spiegato i rischi che l’intervento implicava, ma non gli ho detto che correva un rischio più elevato, essendo il primo paziente su cui veniva eseguito un intervento di riparazione robotizzata della valvola mitrale”.
Nel frattempo Nair, che si è formato in India e a Londra, e in precedenza aveva operato presso il Papworth Hospital di Cambridge, centro europeo di riferimento dei trapianti cardiaci, si è trasferito in Scozia e non esegue più interventi di chirurgia robotica. Il processo riprenderà martedì prossimo.
Luigi D’Onofrio
Italian Nurses Society
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