Pulimeno (Fnopi): “Siamo sempre meno: dal 2009 si sono perse 12.031 unità di personale. Servono risorse”.
I risultati del Rapporto Pit Salute 2018 confermano: ormai gli organici sono ridotti all’osso e chi ne fa le spese, nonostante la buona volontà dei professionisti e l’alto livello clinico dei loro interventi, sono i pazienti, che rischiano di non avere nulla dell’umanizzazione prevista dall’ultimo Patto per la salute.
I dati del Pit Salute parlano chiaro: crescono i disagi per la scarsa assistenza medico-infermieristica, dal 25,7% al 28,9%, e, collegate a questi, le lunghe liste d’attesa (dal 20,2% al 24,6%: senza personale si deve solo attendere di più). Le strutture in cui è maggiore il disagio sono sempre le Rsa (86,5%, in calo rispetto al 89,9% del 2016), mentre le lungodegenze crescono dal 10,1% al 13,5 per cento. Anche nei ricoveri la scarsa assistenza medica e infermieristica (dal 17,9% al 16,7%) è la problematica più segnalata, assieme al rifiuto del ricovero dovuto a motivi di tagli ai servizi (dato che raddoppia dal 6% del 2016 al 12,8% del 2017).
E che sia l’organizzazione del sistema a non funzionare lo dimostra un altro dato rilevato dal Pit Salute 2018: pesa, nelle segnalazioni dei cittadini, soprattutto la carenza di umanizzazione a carico delle figure che più sono immerse nella presa in carico e nelle procedure relazionali con i pazienti e le famiglie. Prima di tutto i medici ospedalieri (50,7%, in aumento rispetto al 45,1% del 2016), gli infermieri ospedalieri (26,2%), i medici di base (15,1%) e quelli impegnati in Asl (5,5%). Segno anche che l’ospedale resta il nodo del sistema dei problemi di organizzazione rispetto a un territorio pressoché inesistente.
Sono i cittadini a dirlo, segnalando al Pit Salute la progressiva riduzione del personale presente nelle strutture e i disagi che ne conseguono proprio in termini di qualità dell’assistenza erogata. Sempre più spesso si verificano le situazioni in cui i pazienti non possono disporre di assistenza appropriata perché vi sono pochi infermieri o medici in reparto.
Quindi, come spiega lo stesso Pit Salute, da un lato si verifica un aumento del rischio di non appropriata presa in carico per il paziente, dall’altro aumenta inevitabilmente il peso su infermieri e medici, che si trovano la responsabilità di gestire molti pazienti con poco personale a disposizione. Va da sé che si riscontrano un aumento del carico di lavoro, maggiore stress, maggiore possibilità di incomprensioni tra pazienti, famigliari e operatori sanitari.
Paradossalmente i servizi a domicilio, invece di aumentare negli anni, diminuiscono. Cittadinanzattiva fa notare la differenza: quelli ospedalieri erano il 65,5% nel 2016 e aumentano all’85,7% nel 2017, mentre quelli domiciliari erano il 27,7% nel 2016 e sono appena l’8,9% nel 2017.
Per quanto riguarda gli infermieri in particolare, le segnalazioni dei cittadini sono il 23,9% nel 2017, mostrando un lieve calo rispetto al 25,2% del 2016. I cittadini, in questo caso, lamentano la sbrigatività delle procedure e dei modi, con un contatto spesso frettoloso e poco informato con gli operatori. Anche nei casi in cui è evidente che il disagio dipende dalle condizioni organizzative e non dal comportamento del singolo, i cittadini sono comunque portati a identificare gli operatori come soggetti risolutori delle problematiche (di accesso alle informazioni su cura, condizioni del paziente, eventuale dimissione) e li investono di una aspettativa elevata.
I cittadini raccontano di mancata attenzione nei controlli e di mancati controlli nei casi più estremi: il ridotto numero di infermieri presenti nelle strutture è la causa di questa mancanza di attenzione, che non può assolutamente essere sanata dalla buona volontà e dallo spirito di abnegazione che pure moltissimi professionisti mettono in campo, perché la particolarità del lavoro che si volge, in questo caso, richiede lucidità e corretta organizzazione delle mansioni, per offrire al cittadino assistenza competente e appropriata.
Le segnalazioni che si riferiscono a questi disagi sono il 18,6% del totale, in netto aumento rispetto al 12% del 2016, facendo puntare l’attenzione su un problema forse emergente.
“Gli infermieri – ha affermato Ausilia Pulimeno, vicepresidente Fnopi, alla presentazione del Rapporto Pit Salute 2018 – sono sempre meno: dal 2009 (anno in cui sono iniziati i piani di rientro per le Regioni fortemente in deficit economico, quasi tutte del Sud, e quindi i tagli senza chance ai bilanci locali col blocco del turnover e dei contratti) si sono perse 12.031 unità di personale. E gli infermieri, quelli del Ssn, quelli che lavorano negli ospedali, sono sempre più anziani. Soprattutto in rapporto alle altre professioni, tra gli infermieri sono diminuite le età centrali, tra i 35 e i 44 anni (dal 38,0 al 28,3%), e aumentate quelle dei ‘quasi anziani’, tra i 45-54 anni, che passano dal 33,8% al 37,9 per cento”.
Sottolinea ancora Pulimeno: “Senza risorse, che oggettivamente appaiono indispensabili, si tratterebbe di modificare la composizione del personale. Da questo punto di vista il vincolo reale con cui il sistema deve fare i conti è quello di una carenza di risorse a disposizione per assumere il personale nel suo insieme, fermo paradossalmente al 2004, meno l’1,4%, cosa che ha portato negli anni a far sì che gran parte degli oltre 25 miliardi tagliati alla sanità siano stati presi dal personale. E questi, quelli messi in evidenza dal Pit Salute, sono i risultati”.
Redazione Nurse Times
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