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Tumore al colon-retto: luce verde per l’immunoterapia

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Lo studio guidato dal ricercatore Carmine Carbone ha vinto il primo premio del bando “Research to care”.

Le cellule neoplastiche sono alcuni dei bersagli del pattugliamento operato senza sosta dal nostro sistema immunitario, come un predatore a caccia di presenze aliene. Proprio Predator è il nome di un progetto di ricerca che mira a capire i meccanismi della resistenza all’immunoterapia da parte del tumore del colon-retto, la seconda causa di mortalità oncologica in Italia.

Predator intende comprendere le ragioni dell’alterato riconoscimento delle cellule tumorali da parte dei linfociti T e studiare il comportamento di alcune cellule – le soppressorie di derivazione mieloide o Mdsc – che aumentano in determinate condizioni patologiche e inibiscono così l’immunità antitumorale. «Ci serviremo di organoidi tumorali, miniaturizzazioni in vitro e in 3D che mantengono le proprietà dei tessuti originari, prelevati dai pazienti», spiega il responsabile del progetto, Carmine Carbone, ricercatore del laboratorio di Oncologia medica del Comprehensive Cancer Center, appena inaugurato al Policlinico Gemelli e diretto da Giampaolo Tortora.

Quella degli organoidi è una tecnologia d’avanguardia, che il gruppo multidisciplinare guidato da Carbone combinerà con le tecnologie genomiche come la Next generation sequencing e con la bioinformatica nel tentativo di arrivare a nuove conoscenze e sviluppare terapie innovative. I tumori del colon-retto sono un insieme di neoplasie che colpiscono il colon, il retto, la giunzione retto-sigmoidea e l’ano. Si tratta del secondo tumore più frequente in Italia con 51.300 casi nel 2018 e 18.935 decessi. Cifre ragguardevoli, anche a causa della crescente diffusione dei fattori di rischio: consumo di carni rosse, insaccati e zuccheri raffinati, oltre a fumo, alcol, sedentarietà e sovrappeso. Ma sono coinvolti anche l’anticipazione diagnostica e l’invecchiamento della popolazione.

Questo tumore si può curare: se in uno stadio iniziale la chirurgia, eventualmente associata alla chemioterapia, è in genere risolutiva, nel caso di metastasi si rende necessario un trattamento farmacologico, consistente nella chemioterapia in combinazione con farmaci a bersaglio molecolare. Quanto all’immunoterapia, la ricerca è frenetica. Spiega il biologo: «Secondo uno studio internazionale apparso su Nature Medicine, il cancro del colon-retto si suddivide in quattro categorie, ciascuna con caratteristiche differenti». Che riguardano, ad esempio, il tipo di cellula cancerosa, il metabolismo e le mutazioni genetiche.

All’incirca il 90% dei casi di tumore del colon-retto rientra in questi sottotipi, nei quali a cambiare è anche il livello della “instabilità dei micro satelliti”, caratteristica associata alla refrattarietà all’immunoterapia: «Più il tumore è instabile, più il suo Dna va incontro a mutazioni che sono riconosciute dal sistema immunitario e lo rendono più sensibile alle terapie immunoterapiche». Infatti, per i casi più avanzati con microsatelliti instabili, la Food&Drug Administration Usa ha approvato due immunoterapici, gli anticorpi anti-Pdl pembrolizumab e nivolumab, e poi la combinazione di nivolumab con ipilimumab, anticorpo anti-Ctla4.

«L’obiettivo è duplice – spiega il responsabile di Predator –: vogliamo sviluppare una piattaforma di interazione tra organoidi e sistema immunitario e analizzare i meccanismi molecolari. Da qui puntiamo ad arrivare a nuove soluzioni, come interventi di editing genetico con cui sopprimere eventuali geni e altri di sviluppo di target therapy contro i bersagli molecolari».

Il progetto è il vincitore assoluto di Research to care, il bando a sostegno della ricerca indipendente promosso dalla direzione medica di Sanofí Genzyme, divisione specialty care di Sanofi. Ha battuto oltre 250 progetti nelle aree di onco-ematologia, malattie rare, neurologia e immunologia. A disposizione ci sono 500mila euro, equamente suddivisi tra il primo classificato in assoluto e i quattro migliori progetti per ogni area.

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

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