Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a firma di calogero Coniglio, delegato della segreteria nazionale Fsi-Usae.
Come avevamo anticipato, sabato 3 agosto abbiamo incontrato la presidente Barbara Mangiacavalli e i massimi vertici della Fnopi (la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche), a cui avevamo chiesto un incontro sull’argomento infermiere di famiglia. La riunione è stata estremamente cordiale e anche l’occasione per dare nuovo vigore alla discussione (in atto da anni) sull’introduzione di nuove competenze infermieristiche.
La proposta Fsi-Usae di riorganizzazione della professione infermieristica, infatti, va ben oltre il dibattito e i disegni di legge sull’istituzione infermiere di famiglia, che noi desideriamo essere in regime di convenzione. Inevitabile, quindi, che nell’incontro fosse affrontato anche il tema della formazione e del rapporto che questa deve avere con il mondo del lavoro e gli spazi professionali nella collocazione giuridica attuale. Anche perché ciò impatta direttamente su questione economica e le vicende contrattuali. Vicende che sono più che mai aperte, essendo in campo l’apposita commissione prevista dall’art. 12 del Ccnl vigente. Non possiamo certo dimenticare che i lavori di tale commissione sono propedeutici alla revisione delle carriere e dei relativi impianti contrattuali.
Ciò detto, abbiamo ribadito che noi abbiamo una concezione differente del ruolo e del lavoro dell’infermiere di famiglia sul territorio. Noi desideriamo un professionista che si prenda cura delle famiglie che lo hanno scelto con fiducia, muovendosi in autonomia per assisterle sulla base delle diagnosi e delle terapie prescritte. Noi non vogliamo che l’infermiere sia ancora una volta lo strumento che le aziende mettono a disposizione di altri professionisti per coprire le carenze organizzative di un sistema assistenziale di base che va rivisto. Abbiamo altresì rammentato, in tal senso, il disegno di legge che nella scorsa legislatura era scaturito dal dibattito aperto dalla nostra organizzazione.
L’infermiere di famiglia deve operare in autonomia e in sinergia con le strutture assistenziali dei distretti in regime di convenzione e non di subordinazione, in posizione paritaria rispetto al medico e alle altre figure professionali. L’inserimento del ruolo dell’infermiere di famiglia nel contesto del Ssn accanto a Mmg e pediatri può essere determinante e rivoluzionario per la sostenibilità dello stesso Ssn. Basti pensare alla diminuzione dei ricoveri che si avrebbe se l’utente/cittadino potesse usufruire delle stesse cure, se non addirittura migliori, direttamente presso il proprio domicilio. Parliamo, naturalmente, di tutte quelle patologie croniche per le quali, a seguito della prescrizione medica, l’infermiere potrebbe in maniera autonoma gestire il percorso assistenziale.
Ci sono realtà a livello europeo dove ogni cittadino registrato ha il proprio medico e la propria infermiera assegnata. Gli infermieri si occupano principalmente di prevenzione e di gestione della domanda, ma ricevono e trattano anche i pazienti che accedono spontaneamente al centro, occupandosi di codificate patologie acute in cui sono risolutivi nel 74% dei casi. In tal modo i Mmg possono concentrarsi sul proprio lavoro con maggiore efficacia. L’Oms afferma: “In alcuni Paesi la pratica infermieristica è limitata da requisiti inflessibili e inattuali, che regolano le carriere e le modalità d’impiego. I sistemi di regolamentazione devono essere flessibili e consentire agli infermieri di ridefinire la loro pratica per soddisfare i mutevoli bisogni di salute”.
Com’è noto a tutti, il tallone d’Achille dei servizi sanitari regionali è rappresentato da una non adeguata assistenza distrettuale che si traduce in un costoso ricorso alle cure ospedaliere. La quasi totalità delle Regioni e delle Province autonome non riesce a centrare gli indicatori dei Lea in tema di assistenza distrettuale, nonostante la continua iniezione di risorse sulla medicina di base, di cui beneficiano medici di famiglia o aziende private specializzate.
Sempre più di frequente le Regioni affidano a soggetti esterni servizi sanitari rivolti alla persona in condizione di cronicità. Tali soggetti (associazioni, cooperative o ditte specializzate) erogano a costi altissimi prestazioni sanitarie prevalentemente di tipo infermieristico, utilizzando a basso costo la collaborazione di infermieri con partita Iva. Tale impostazione è lontana dagli standard di qualità auspicati da tutte le risoluzioni europee, dalle direttive Oms e dagli stessi piani sanitari regionali. Un infermiere che si reca al domicilio di un ammalato per erogare solo la prestazione tecnica non può offrire il bagaglio professionale che oggi la scienza infermieristica consente di esprimere.
Redazione Nurse Times
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