Riceviamo e volentieri pubblichiamo la testimonianza di una collega in servizio nel reparto di Terapia semintensiva a Vercelli.
In questi giorni ho assistito a un episodio che ho raccontato a poche persone, vista la situazione e vista anche la delicatezza. Giornata di lavoro normale, iniziamo la terapia con altre mie colleghe: due colleghe nella zona “sporca” e due nella zona “pulita”.
Io ero nella zona “sporca”, quindi tutta bardata. Inizio a fare terapia nelle varie stanze, a controllare monitor, respiratori, cateteri, parametri, caschi… Arriva una nostra collega da un altro reparto e mi dà alcune foto plastificate (perché le cose nella zona “sporca” devono essere in un certo modo e devono restare sempre in quella zona) per un nostro paziente. Gliele mandava la figlia, insieme ai nipotini.
Sono entrata in camera, sempre insieme alla mia collega, e abbiamo chiesto al nostro paziente se volesse vederle insieme a noi. Ha detto di sì. Erano foto, bellissime, che ritraevano lui, i nipotini, la figlia. La reazione potete immaginarla. Noi siamo rimaste in silenzio, sprofondando in un vortice che solo chi è dentro può capire.
Ci sono cose che non si possono spiegare a parole. E a volte i nostri occhi, gli unici scoperti da quell’armatura adottata contro il Covid, riescono a esprimere tutto. Ogni tanto mi fermo a riflettere, e penso che non ci sia lavoro migliore del nostro. Ed è bellissimo come noi tutti infermieri d’Italia ci stiamo mobilitando sui social per esprimere un’opinione, parlare di disagi, felicità, tristezze.
Isabel Francesca Gallo
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