Lo sostiene con forza l’infettivologo ed epatologo Claudio Puoti.
Contro il coronavirus è necessaria una terapia precoce e a domicilio, e soprattutto condivisa a livello nazionale in base a statistiche e dati certi. Ne è convinto il professor Claudio Puoti (foto), infettivologo ed epatologo, responsabile del Centro di epatologia dell’Istituto Ini di Grottaferrata, che attraverso le suoi migliaia di follower su Fb, contatti e amici medici ha raccolto decine di segnalazioni di pazienti, anche suoi colleghi, lasciati a casa per giorni, trattati con solo paracetamolo, che poi si sono velocemente aggravati fino ad arrivare al ricovero e spesso alla morte.
Da qui l’idea di elaborare un protocollo, insieme a un gruppo di esperti, per una terapia domiciliare precoce: un documento che ha avuto già l’adesione di oltre 2.500 medici, virologi, ricercatori e cittadini di ogni regione. Nel documento, portato all’attenzione delle istituzioni, si punta a un intervento rapido, a 24 ore dai primi sintomi chiari come tosse e febbre alta, e a una riorganizzazione della terapia domiciliare per evitare l’eccessiva ospedalizzazione, spesso causa di altri contagi.
Quali le novità contenute nel protocollo? Lo spiega lo stesso Puoti: “Uno: non attendere il tampone di fronte a una sintomatologia classica. Lo dico da oltre un mese. Considerando che l’epidemia di influenza è terminata e quest’anno è stata assai meno aggressiva, se si hanno febbre alta, tosse, emicrania, perdita del gusto e olfatto, dolore toracico, cosa si vuole che abbia una persona in questo periodo?”.
Inoltre i tamponi danno spesso falsi negativi e, nell’attesa del risultato, comunque il virus va avanti. Tampone sì, ma è bene, intanto, avviare la terapia. “Si parla molto di clorochina, assai diffusa per i malati reumatologici, associata a un antibiotico, l’azitromicina e il terzo passaggio è l’eparina, perché ormai emergono dati che alla polmonite interstiziale si associa o va in parallelo un problema di embolie disseminate, che sono una delle due cause di morte se non la principale”.
Nel documento si indicano anche i dosaggi dei farmaci. Una terapia già applicata in altri paesi e dal costo esiguo, per 5-7 giorni. Il problema, spiega Puoti è che c’è una vera e propria giungla. Molti già lo applicano questo protocollo, ma non ci sono statistiche, e molti lo applicano e non lo dicono. Lui ha lanciato un sondaggio anonimo tra i medici e sta raccogliendo i risultati: “So per certo che si applica a Piacenza, c’è un modello Piacenza, che prevede che le Usca non vadano a casa come in altre regioni per monitorare i pazienti ma per fornire la terapia, così come ad Alessandria; mi pare assurdo che ci siano aree in cui si fa ma non si dice, aree in cui si fa e si dice e aree in cui si dice e non si fa. A Piacenza il collega mi segnalava che nel 98% dei casi i pazienti sono guariti o non sono stati ricoverati”.
A livello operativo entrano in campo delle squadre, come le cosiddette Usca, unità speciali per le cure domiciliari già attivate in molte regioni: un medico e un infermiere, a casa del paziente, con tutte le precauzioni del caso e l’attenta valutazione del malato. Il rischio altrimenti è il fai da te. Pericolosissimo. “Le Usca – dice Puoti – non possono limitarsi a essere dei gruppi di controllo e monitoraggio ma devono essere gruppi di terapia: devono arrivare a casa del malato con un elettrocardiografo portatile perché la clorochina può dare problemi, fare un analisi del sangue per verificare altri possibili problemi e dare il trattamento al paziente in collegamento con il medico di base di quel paziente per sapere se prende altri farmaci e ci sono possibili interazioni, non è così complicato”.
Il personale può essere reclutato su base volontaria, attingendo agli elenchi delle migliaia di medici e infermieri che hanno risposto all’appello del governo nelle aree più colpite dal virus. Ma è urgente giocare d’anticipo, soprattutto con la fase 2. Manca invece un coordinamento. E non ci sono dati effettivi sulla clorochina: “Vogliamo capire a livello nazionale se funziona? Se funziona, rendiamola obbligatoria come trattamento e protocollo nazionale se no parliamo di altro, mi pare che stiamo procedendo troppo per tentativi. In condizione normali si fanno sperimentazioni, si condividono i risultati, in condizioni eccezionali ci vogliono risposte eccezionali. Io comprendo che il ruolo di Iss e Aifa sia di raffreddare gli entusiasmi e comprendo che si debba procedere per trial, ma i trial non si fanno quando c’è uno tsunami, ma con la bassa marea”.
Redazione Nurse Times
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