Un’operatrice culturale racconta a Repubblica: “Dopo un tampone negativo a marzo, una settimana fa il test ha confermato che ho gli anticorpi”. E pone un quesito: “Quanti casi positivi sono sfuggiti alle statistiche?”.
“È bastato un post su Facebook e centinaia di persone mi hanno scritto, raccontandomi la loro storia. La solitudine di tanti che in questi mesi si sono ammalati, hanno avuto febbri terribili, polmoniti, ma nel lockdown non sono riusciti ad accedere né ai tamponi né ai test sierologici. Il virus era tra di noi da mesi, ma non lo sapevamo. Io sono stata contagiata a dicembre, ma soltanto pochi giorni fa ho scoperto aver avuto il Covid, dopo aver fatto il test sierologico. L’ho avuto, ma non sono entrata, non entro, in nessuna statistica e di casi come il mio chissà quanti ce ne sono”.
Silvia Barbagallo fa l’operatrice culturale: organizza eventi, fiere di libri, mostre. Si sente male il 24 dicembre, al ritorno da un viaggio in Africa con suo figlio: “Una febbre fortissima, con un inizio di polmonite che mi è stata curata con paracetamolo e cortisone, e per fortuna è rientrata in tempi brevi. Una specie di influenza molto violenta, così mi aveva detto la mia dottoressa di base. Era dicembre e nessuno, da noi, parlava ancora del coronavirus”.
Silvia si riprende, tra gennaio e febbraio va più volte a Milano per lavoro. In poche settimane però il Covid diventa uno spettro mondiale. Inizia anche la tragedia italiana, i morti in Lombardia: “Il 6 marzo, due giorni prima che iniziasse il lockdown, ho fatto il tampone allo Spallanzani. In quelle settimane ero andata cinque volte a Milano. In Lombardia la situazione era già grave, mi era sembrato prudente. Sono risultata negativa”.
Poi la quarantena: “Ci siamo chiusi in casa, come hanno fatto tutti gli italiani. Ero serena, il tampone era negativo. Ma qualche giorno fa mio figlio, che ha diciassette anni, ha avuto una febbre molto forte. A quel punto abbiamo deciso di fare tutti, in famiglia, i testi sierologici in un laboratorio privato. E io ho scoperto di avere gli anticorpi del Covid, sono positiva alle Igg, le immunoglobuline G, che testimoniano un contatto con il virus lontano nel tempo”.
Dunque, ricostruisce Silvia, “la violentissima febbre di dicembre era il Covid-19”, e il contagio non sarebbe avvenuto a Milano, “ma in Africa, nel viaggio verso la Tanzania probabilmente”. Su quel volo, infatti, insieme a Silvia e suo figlio, viaggiano decine di famiglie cinesi che ormai vivono stabilmente in Tanzania. È avvenuto lì, il contagio? Forse.
Ma quello che Silvia Barbagallo vuole testimoniare è che i contagi del coronavirus in Italia sono stati assai più numerosi delle statistiche ufficiali: “I dati che da due mesi leggiamo e ascoltiamo non sono attendibili o meglio danno una rappresentazione incompleta dello scenario complesso. Se mappassero tutti, scopriremmo di averlo già avuto in tanti, e soprattutto che questo virus era in circolo già mesi prima dell’inizio di questa tragedia collettiva”.
Perché è una tragedia quella che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. E riprendendo il post su Facebook scritto da Silvia Barbagallo, a cui decine di persone hanno risposto, è questo il tempo di riflettere: “Abbiamo vissuto in un grande ‘corpo collettivo’, senza permetterci di ascoltare ognuno il proprio perché avevamo davanti agli occhi il dramma di tutti i pazienti in terapia intensiva, le enormi fatiche dei medici e degli infermieri, il dramma che stava attraversando le vite di tutti. Però quelle paure e quelle sensazioni di impotenza in qualche luogo si sono depositate e forse ora è arrivato il momento di riappropriarci anche di una riflessione personale senza per forza sentirci in colpa. Una riflessione non solo legata al corpo, ma anche alle paure che abbiamo vissuto, ai diritti, al futuro, al lavoro”.
Redazione Nurse Times
Fonte: la Repubblica
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