I farmaci antimalarici sembrano essere collegati a un maggior rischio di morte tra i pazienti ricoverati in ospedale per Covid-19 e problemi al cuore.
Mentre si sa ancora poco sulla sua efficacia, “siamo abbastanza sicuri dei possibili danni e dell’assenza di sicurezza in alcuni limitati sottogruppi di pazienti”. L‘idrossiclorochina non convince l’Aifa. Ne ha parlato il direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini, durante la presentazione di un rapporto sulle cure in campo anti-Covid alla conferenza stampa settimanale dell’Iss.
E sull’antimalarico, come anche sul suo stretto parente, la clorochina, arriva uno studio pubblicato su Lancet e condotto da ricercatori della Sorbona di Parigi. Secondo tale studio, i farmaci antimalarici sperimentati contro l’infezione da Covid-19, che Donald Trump sta assumendo come profilassi, sembrano essere collegati a un maggior rischio di morte tra i pazienti ricoverati in ospedale per Covid e problemi al cuore, mentre non sembrano produrre benefici sui pazienti, sia assunti da soli che insieme a un antibiotico.
“L’uso – ha riferito Magrini – può essere considerato nei pazienti a diversa gravità. Si dovrebbe usare preferenzialmente in monoterapia e non in associazione, cosa che spesso non è stata fatta”. In particolare, riferisce l’Aifa, “lo stato attuale delle conoscenze sconsiglia l’utilizzo dell’ idrossiclorochina, in associazione con lopinavir/ritonavir o con azitromicina, al di fuori di studi clinici”. E aggiunge: “Poiché l’uso terapeutico dell’idrossiclorochina è ormai entrato nella pratica clinica sulla base di evidenze incomplete, è auspicabile la partecipazione a studi randomizzati che ne valutino l’efficacia”.
I dati dello studio pubblicato su Lancet si riferiscono a 671 ospedali nel mondo su 15mila persone trattate con gli antimalarici e con uno dei due antibiotici che a volte sono stati abbinati. La terapia in qualsiasi combinazione dei quattro farmaci è risultata associata a maggior rischio di morte rispetto a quello osservato in 81mila pazienti a cui questi farmaci non sono stati somministrati. Il maggior rischio è stato osservato nel gruppo trattato con idrossiclorochina e un antibiotico, dove l’8% dei pazienti ha sviluppato aritmia cardiaca, rispetto allo 0,3% del gruppo di controllo.
“L’idrossiclorochina – spiega ancora Magrini – è un farmaco mondiale usato da tutti, più cautamente in Italia che altrove”. Anche l’ozono, aggiunge, “ha avuto alcuni dati positivi, ed è stato fatto uno studio per capirne l’efficacia”, mentre per il Tociluzumab, il farmaco contro l’artrite, la sintesi pubblicata sul sito Aifa mostra “dati iniziali incoraggianti con una potenziale riduzione della mortalità del 5%”.
Novità anche sul fronte della terapia con il plasma iperimmune da pazienti convalescenti post-Covid. L’Istituto Spallanzani di Roma, d’intesa con l’Uo di Ematologia dell’ospedale San Camillo e il Dipartimento di Oncoematologia e terapia cellulare e genica dell’Ospedale Bambino Gesù, ha annunciato la sperimentazione in atto.
Redazione Nurse Times
Fonte: la Repubblica
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