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Massimo Randolfi

Infermieri, chiamati Guerrieri ma in campo come armatura il nostro grande coraggio

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Infermieri, chiamati Guerrieri ma in campo come armatura il nostro grande coraggio
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Oggi, dopo 66 giorni, finalmente possiamo urlare che ce l’abbiamo fatta!

L’9 Marzo il Presidente Conte ha emanato il DCPM con cui l’Italia veniva blindata, gli ospedali erano in subbuglio poichè dovevano riorganizzarsi e per diversi giorni a causa di questo marasma ci siamo sentiti confusi e disorientati. Il 23 Marzo 2020 sedici guerrieri, INFERMIERI del comparto operatorio hanno offerto la propria disponibilità per formare un nuovo gruppo per la Rianimazione “Pulita” poiché la preesistente era dedicata ai paz. COVID-19 .Ci siamo messi in gioco, un nuovo ambiente, un nuovo lavoro per far partire una nuova rianimazione con 6 posti letto nell’ospedale Madonna Delle Grazie,di una delle città più belle del mondo e Capitale della Cultura 2019, Matera.

La lotta a cui il paese, ma soprattutto gli operatori Sanitari, e i cittadini sono stati chiamati è stata, ed è ancora, ardua e difficile.

Dopo pochi giorni all’ingresso del nuovo Reparto fu appesa l’icona “ANDRA’ TUTTO BENE” che fu firmata da tutti noi e considerata come un contratto in cui ci impegnavamo a dare il massimo sino alla sconfitta di questo virus maledetto!

Queste parole messe su carta esprimono un pò le riflessioni e i sentimenti che si sono alternate nel mio cuore in questi mesi e le utilizzo anche per ringraziare tutti i miei colleghi infermieri. Siamo stati ritratti in svariati modi, come Eroi instancabili e impavidi ma fatti di carne e sensibili ai sentimenti e alle vicissitudini. Ci hanno definiti ‘eroi’, mai veri ‘eroi’ qui sono stati ben altri e cioè i pazienti che ce l’hanno fatta e ce la faranno”

Noi infermieri chiamati anche Guerrieri siamo entrati in campo avendo come armatura un grande coraggio e un grande cuore, questa armatura conferiva ad ognuno di noi nobiltà d’animo e rispetto. I Guerrieri si sono trovati a sostenere e diffondere un pensiero positivo nonostante tutto ciò che stava accadendo, ma il nostro unico scopo era quello di aiutare quante più persone possibili per non sentirci inutili e non avere il rimorso di non aver dato abbastanza e pensare che si poteva fare di più.

Sento di non essere ”un’ eroe” perché chi sceglie di fare l’infermiere, non lo fa per avere delle medaglie, ma per prendersi cura di chi ha bisogno, e non lo fa soltanto nelle emergenze ,perchè lo facciamo tutti i giorni. In questo periodo abbiamo rinunciano alle comodità, alle feste segnate in rosso sul calendario, alle cene in famiglia con i propri cari, alle ferie e congedi. Tutto questo perché questo virus è entrato di prepotenza nelle nostre vite, costringendoci a fare i conti con situazioni difficili e scomode senza nemmeno chiedere il permesso.

Durante questi 66 giorni abbiamo nascosto le nostre paure, insicurezze, perplessità, abbiamo condiviso la nostra esperienza con la costante presenza dei rianimatori e anestesisti nel percorso terapeutico dei pazienti e condiviso lavoro, tempo e spazio con i colleghi dell’Utir-Terapia intensiva di Pneumologia.

Abbiamo ripreso i libri rimettendoci a studiare per offrire un assistenza adeguata e la migliore per il paziente, ci siamo messi in discussione e come fanno tutti i guerrieri siamo scesi in campo per aiutare quanti più pazienti possibili. Per arrivare ad avere ottime performance è stato fondamentale l’affiancamento durante il turno di 3 colleghi esperti della rianimazione, dispensando linee guida e metodi per la corretta gestione dei pazienti intubati.

Potrei scrivere, scrivere e scrivere per cercare di far comprendere lo spaccato di vita nel quale sono stato travolto in maniera quasi inconsapevole ma ritengo che in questi mesi si sono susseguiti vissuti ed emozioni che forse non avrei mai provato. Concludo questo spezzato di vita lavorativa dicendo che questa esperienza ci ha resi più forti e che nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia, perché oltre la nera cortina della notte c’è un alba che ci aspetta. (cit. K.Gibran)

Marco Bigherati, infermiere Matera

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