L’appello dei ricercatori: “Stop al doppio tampone”.
La cronaca delle ultime settimane ci ha raccontato molte storie di pazienti rimasti a lungo positivi: per giorni, settimane, anche mesi. Ora uno studio italiano svela che il coronavirus impiega in media 30 giorni dal primo tampone positivo per essere eliminato dall’organismo. La metà dei pazienti è ancora positiva 30 dopo giorni la diagnosi e 36 giorni dopo la comparsa dei primi sintomi.
Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista British Medical Journal Open e condotto dall’Azienda Unità sanitaria locale – Irccs di Reggio Emilia su un campione di individui sintomatici, risultati positivi al virus tra febbraio e aprile. È ancora poco chiara l’estensione del periodo in cui il soggetto resta contagioso dal momento della diagnosi. L’Oms raccomanda 13 giorni di isolamento dalla comparsa dei sintomi del Covid e dieci dalla data del tampone positivo in una persona asintomatica.
“In Italia – spiega all’Ansa uno degli autori dello studio, Francesco Venturelli, del Servizio di Epidemiologia dell’Azienda sanitaria emiliana – adottiamo un protocollo più stringente, che prevede la necessità di ottenere consecutivamente due tamponi negativi per uscire dall’isolamento. Dai risultati dello studio emerge che circa la metà dei pazienti è ancora positiva a 30 giorni dal primo tampone”.
Eseguire un nuovo tampone dopo due o tre settimane dalla diagnosi si associa a un rischio elevato di “falsi negativi” (in un caso su cinque), ovvero di avere esito negativo per un tampone non confermato dall’esame successivo. Sul doppio tampone positivo c’è chi pensa sia il momento di fermarsi. Dagli scienziati autori di “Pillole di Ottimismo” arriva infatti un appello alle principali cariche istituzionali italiane, al ministro della Salute e al Comitato tecnico scientifico affinché sia abbandonata la procedura secondo la quale un paziente affetto da Covid-19 è considerato ufficialmente malato e contagioso finché per due volte consecutive l’analisi del tampone nasofaringeo non dia esito negativo.
La squadra diretta dal virologo Guido Silvestri e da Paolo Spada, chiede nella missiva che l’Italia si adegui alle nuove direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e riduca a dieci giorni il periodo di malattia per Covid-19 (più tre giorni senza sintomi, nel caso ve ne fossero), abbandonando l’uso del tampone di controllo. E questo per tre ragioni chiave, che riguardano la vita delle persone, l’economia e la salute pubblica.
“Come sapete – ricordano gli autori dell’appello –, nel nostro Paese un paziente affetto da Covid-19 viene considerato ufficialmente malato e contagioso, finché per due volte consecutive l’analisi del tampone nasofaringeo non dia esito negativo. Questo criterio, inizialmente adottato dall’Organizzazione mondiale della sanità, è stato poi cambiato progressivamente in molti Paesi e, infine, dall’Oms stessa, in base a una crescente e ormai consolidata evidenza scientifica: il periodo di contagiosità che inizia circa 48 ore prima della comparsa di sintomi, ha il suo picco nei primi giorni, per poi calare rapidamente e sostanzialmente annullarsi entro 10 giorni. La positività del tampone può invece restare tale per molte settimane, fino a oltre 4 mesi dalla malattia, identificando, di fatto, solo tracce di materiale genetico del virus, non attivo e incapace di trasmettere l’infezione”.
Appunto perché, come ha rilevato lo studio dei ricercatori di Reggio Emilia, l’espulsione del virus dall’organismo dura quasi un mese in alcuni casi: “Vi chiediamo quindi di sostituire il criterio del doppio tampone negativo con quello indicato nelle nuove direttive Oms, riducendo a dieci giorni il periodo di malattia per Covid-19 (più tre giorni senza sintomi, nel caso ve ne fossero) e abbandonando l’uso del tampone di controllo. Ve lo chiediamo per tre ragioni, ciascuna delle quali ci sembra da sola sufficiente a giustificare la nostra richiesta. La prima ragione riguarda la vita delle persone coinvolte: mantenere in isolamento forzato un paziente che con ogni probabilità non è più contagioso non è di alcuna significativa utilità, né per il paziente né per la collettività”.
La seconda ragione “riguarda l’economia e la ripresa del nostro Paese: la nostra collettività ha bisogno del contributo di queste persone, ora lasciate per lungo tempo in uno stato di ingiustificata immobilità. La terza ragione – che ci pare persino più importante delle altre – riguarda la salute pubblica: il timore di venire isolati senza un termine temporalmente definito costituisce un pericoloso disincentivo alla segnalazione dei propri sintomi per chi si ammala e all’utilizzo dell’app di tracciamento, che invece necessita urgentemente di molte nuove adesioni”.
Sottolineano ancora gli scienziati: “In senso contrario alla nostra richiesta si sostiene frequentemente che le nuove direttive Oms sarebbero pensate per i Paesi con risorse limitate e che dunque non possono garantire un secondo tampone in tutti i casi in cui ciò è necessario, a causa dell’insufficienza di strumenti e personale medico. La descritta obiezione a nostro avviso non regge. In primo luogo gran parte dei Paesi europei hanno da tempo adottato le nuove linee guida Oms. In secondo luogo, le motivazioni di salute pubblica sopra indicate giustificherebbero persino l’assunzione di un modestissimo rischio, se esso fosse veramente associato alle nuove linee guida. Infine grande è la richiesta, da parte delle Regioni, di maggiori risorse per aumentare i tamponi: la scelta che Vi chiediamo potrebbe offrire un aiuto importante in questa direzione”.
Redazione Nurse Times
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