La Cassazione ha confermato la condanna, evidenziando come la donna abbia rischiato di compromettere la salute psichica dei ragazzi.
Via libera alla condanna a una pena detentiva per la professoressa che accoglieva in classe gli studenti mostrando il dito medio alzato e con una serie di insulti che variavano in base al sesso. Gli epiteti ripetibili erano “cagna”, “marciume” “deficiente”.
La prof non mancava di predire il futuro alle ragazze, la cui moralità era messa in dubbio nel modo più esplicito, per le quali vedeva un avvenire da mantenute in cambio di favori sessuali che non si faceva problemi a elencare. Il tutto condito da lanci di oggetti, spintoni e colpi inferti con i libri e con i registri. Destinatari delle “attenzioni” dell’insegnante, gli studenti di un istituito superiore, di età compresa tra i 14 e i 15 anni.
La Cassazione ha confermato la condanna dell’insegnante a tre mesi di reclusione per abuso dei mezzi di correzione, valorizzando il fatto che la salute dei ragazzi nella difficile età dell’adolescenza era stata messa a rischio dai continui, violenti attacchi a opera di una figura che nella loro vita doveva avere un ruolo ben diverso.
A incastrare la donna, classe ’52, la testimonianza di un collega e le segnalazioni orali e scritte genitori dei ragazzi, oltre che delle stesse giovani vittime. Per lei nessuna attenuante né sospensione del procedimento per messa alla prova, tra l’altro non chiesta in tempo utile. Chiare le ragioni della severità della condanna. Per i giudici era accertato che l’imputata aveva comportamenti che definire non professionali sarebbe un eufemismo.
Una relazione fatta di violenze verbali e fisiche, di umiliazioni “anche con riguardo alla sfera sessuale, che avevano determinato un concreto pericolo per la salute mentale e fisica dei giovani alunni, adolescenti e perciò ancora tendenzialmente fragili sotto l’aspetto psichico”. La Suprema Corte ha chiarito che “nell’abuso di mezzi di correzione o di disciplina la nozione di malattia è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza traumatica e rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Sole 24 Ore
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