Di seguito una nota a firma di Daniele Leone, segretario regionale del sindacato.
Un tracollo senza fine. La causa principale sta tutta nella scelta degli imprenditori della sanità privata di applicare diversi contratti di lavoro, ognuno al ribasso, ognuno con retribuzione bassa e diritti negati. Questa scelta imprenditoriale oggi non funziona più. Infatti molte strutture sociosanitarie, Rsa, Ra, Cssa si trovano sull’orlo dell’implosione, e il rischio stavolta è che molte strutture che ospitano persone non autosufficienti, pazienti fragili con pluripatologie, si accartoccino su se stesse, perché private del loro pilastro più solido: gli infermieri.
In molte regioni le pessime condizioni contrattuali per gli infermieri e dell’elevato carico di lavoro in questo periodo di emergenza Covid stanno spingendo tantissimi infermieri al licenziamento in massa da queste strutture, con rinuncia a un contratto a tempo indeterminato per accettare un contratto a tempo. Una vera e propria emorragia, che non risparmia nemmeno l’Abruzzo. Un esodo dalle strutture di assistenza che aggrava una situazione già problematica a causa dell’emergenza Covid.
In Italia, infatti, secondo le ultime stime, mancano più di 50mila infermieri, di cui 30mila proprio sui territori. Non caso, a incentivare la loro fuga non sono solo i numerosi bandi pubblici emessi dalle aziende sanitarie locali, che puntano a rimpinguare le proprie risorse, ma anche le condizioni economiche dei numerosi contratti applicati nel settore della sanità privata: una giungla di contratti al ribasso, ognuno con retribuzioni basse e diritti negati.
Questa scelta non funziona più, e gli infermieri, dopo anni in cui sono stati costretti ad accettare condizioni contrattuali non in linea con le loro professionalità e competenze, con il loro lavoro, stanno abbandonando le strutture sociosanitarie. Non è possibile che il personale sanitario che ha lavorato in prima linea durante la battaglia contro il Covid-19 non abbia ricevuto un euro di indennità, un bonus, nulla. Non è possibile che un infermiere che lavora 26 giorni al mese percepisca uno stipendio di 1.200 euro al mese. Su questi numeri gli imprenditori della sanità privata e anche la Regione, che concede gli accreditamenti, dovrebbero riflettere.
Se non si interviene immediatamente, il rischio è che presto possiamo trovare diverse strutture impreparate, qualora i contagi riprendessero a crescere. Una questione allarmante, soprattutto tenendo conto del fatto che, per l’ultimo report redatto dall’Istituto Superiore di Sanità, all’interno della case di riposo con ospiti Covid o sospetti tali va garantita la presenza di infermieri se tte giorni su sette e 24 ore al giorno. Una situazione potenzialmente esplosiva, su cui la Regione Abruzzo e le Asl dovrebbero intervenire, prima che si trasformi in tragedia.
Redazione Nurse Times
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