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Sla, individuato componente chiave per mantenere l’integrità neuronale

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Sla e demenza frontotemporale, scoperto possibile biomarcatore per diagnosi precoce
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Un recente studio ha identificato un enzima, l’ubiquitina ligasi Hecw, che regola specificatamente un processo alla base di malattie neurodegenerative.

Grazie alla combinazione di sofisticati modelli biofisici e all’utilizzo del moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) facilmente manipolabile a livello genetico, un gruppo di ricercatori di IFOM di Milano, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, ha scoperto un enzima responsabile di uno specifico meccanismo molecolare alla base dell’insorgenza della sclerosi laterale amiotrofica (Sla).

La Sla è una patologia neurodegenerativa rara che ha un’incidenza di due casi ogni 100mila persone l’anno in tutto il mondo. In Italia vengono diagnosticati mille nuovi casi all’anno. Si tratta di una patologia fortemente invalidante, con ricadute sulle capacità motoria, della parola, della deglutizione e della respirazione. Le aspettative di vita di un paziente affetto da Sla sono dai due ai cinque anni, e attualmente non esiste una cura né un trattamento efficace per arrestare o rallentare significativamente la malattia. La ricerca sulla natura di questa patologia neurodegenerativa e sulle sue possibili cure vede coinvolti ricercatori da tutto il mondo. Tuttavia i progressi sono limitati poiché le cause alla base di questa malattia multifattoriale non sono ancora del tutto chiare.

Lo studio milanese, pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Nature Communications, è riuscito ad aprire un fronte inedito della ricerca in questo ambito. Grazie all’utilizzo di un approccio sperimentale innovativo, i ricercatori hanno ricostruito un significativo tassello dei meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza della malattia, che potrebbe aprire nuove prospettive per il trattamento di questa e altre patologie neurodegenerative. Per guidare il corretto sviluppo e la funzionalità dei neuroni, così come dei tessuti germinali, è necessario che all’interno della cellula si verifichi un perfetto coordinamento spazio-temporale: alcune proteine devono essere prodotte solo in un dato momento e in un dato luogo.

“Nella cellula – illustra Simona Polo, responsabile del laboratorio IFOM Complessi molecolari e trasmissione del segnale, nonché docente presso Dipartimento di Oncologia ed emato-oncologia all’Università degli Studi di Milano – questo coordinamento avviene grazie all’impacchettamento del loro RNA messaggero in organelli proteici chiamati RNP (ribonucleoproteine). I fattori proteici esercitano un controllo molto rigoroso sul RNA impedendone la traduzione in proteine fino all’arrivo a destinazione. Se questo controllo viene a mancare, per esempio a causa di mutazioni in alcuni di questi fattori, si compromette l’integrità neuronale e si promuove l’insorgenza di malattie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la demenza frontotemporale (FTD). Conoscere il meccanismo di regolazione costituisce pertanto un passo essenziale verso la cura”.

Grazie alla combinazione di sofisticati modelli biofisici e all’adozione di uno specifico sistema modello, la Drosophila melanogaster o moscerino della frutta, che ha in comune con l’uomo molti meccanismi molecolari e cellulari, i ricercatori di IFOM e della Statale hanno individuato nell’ubiquitina il motore della regolazione. “Si tratta – spiega Elena Maspero, che ha curato lo studio accanto a Simona Polo grazie al sostegno di Fondazione Cariplo – di una molecola-segnale che viene attaccata come una bandierina sui componenti della cellula con funzione regolatoria. È proprio l’ubiquitina a modificare le RNP e a impedire la traduzione dell’mRNA”.

“Le RNP – afferma Valentina Fajner, prima autrice della pubblicazione – non sono organelli tradizionali circondati da membrane come il nucleo o i mitocondri, ma granuli liquidi che si separano nella cellula come una goccia d’olio in acqua: in mancanza dell’ubiquitina questi granuli acquisiscono una consistenza gelatinosa dove gli scambi tra i componenti al loro interno sono compromessi. Di conseguenza viene meno anche la regolazione dell’mRNA e i neuroni, così come i tessuti germinali, sono danneggiati e muoiono. Per questo motivo, i moscerini hanno problemi di fertilità e vivono di meno, sviluppando problemi motori che ricordano quelli della Sla”.

“Questi esperimenti illustrano come la ricerca di base con sistemi modello possa essere estremamente utile a chiarire i meccanismi genetici, molecolari e cellulari alla base delle patologie umane, in particolare le malattie rare come la SLA che non sempre beneficiano di ingenti investimenti di ricerca – commenta Thomas Vaccari, cofirmatario dello studio e docente presso il Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano, oltre che esperto a livello internazionale di Drosophila –. È un approccio che permette di studiare i moscerini quasi come fossero “avatar” genetici dei pazienti e può essere adottato per molte altre patologie”.

“Avere identificato un enzima, l’ubiquitina ligasi Hecw, che regola specificatamente un processo alla base di malattie neurodegenerative come la Sla, rappresenta un ulteriore tassello che la ricerca aggiunge nella via verso il loro trattamento – aggiunge Simona Polo –. E questo è particolarmente importante in un campo come quello delle malattie neurodegenerative, nel quale c’è grande mancanza di interventi terapeutici risolutivi. Capire quali sono i fattori coinvolti nello sviluppo delle malattie offre nuovi bersagli per lo sviluppo di farmaci specifici. Inoltre, ora sappiamo che anche per queste patologie la tempestività d’intervento è molto importante: “identificare fattori che, se mutati, possono portare allo sviluppo di malattie è fondamentale per avere dei nuovi riferimenti per la diagnosi precoce”.

Il prossimo obiettivo che si prefiggono i ricercatori è tradurre questa conoscenza acquisita in Drosophila all’uomo, utilizzando i neuroni derivati da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Questo studio è stato possibile grazie al contributo di Roberto Cerbino e Fabio Giavazzi, del Dipartimento di Biotecnologie mediche e medicina traslazionale dell’Università degli Studi di Milano, che hanno messo a punto sofisticate analisi per quantificare i componenti biofisici dello studio, e grazie al sostegno di Fondazione Cariplo e del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Progetti di rilevante interesse nazionale, PRIN), oltre che di Fondazione Airc.

Redazione Nurse Times

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