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Coronavirus, contagio in aria indoor quasi azzerato dalle misure restrittive

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Coronavirus, contagio in aria indoor quasi azzerato dalle misure restrittive
Young person with protective face mask buying groceries/supplies in the supermarket.Preparation for a pandemic quarantine due to coronavirus covid-19 outbreak.Choosing nonperishable food essentials
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Uno studio congiunto conferma gli effetti positivi generati dalle norme anti-Covid.

La rapida diffusione del Covid-19 nell’autunno 2020, durante la seconda ondata della pandemia, ha portato all’introduzione di specifiche misure restrittive a carattere regionale, basate sulla classificazione del rischio con una scala di colori. Per una definizione più precisa possibile del rischio, è estremamente importante rispondere agli interrogativi sul ruolo della trasmissione in aria (airborne) in specifici ambienti di comunità al chiuso, come supermercati, ristoranti, mezzi pubblici.

“Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili tra cui la concentrazione delle particelle virali, che è stata studiata principalmente in ambienti ospedalieri o destinati alla cura dei pazienti Covid-19 – spiega Daniele Contini, dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Lecce –. Tuttavia, i dati riguardanti gli ambienti di comunità pubblici al chiuso sono ancora scarsi; per questo, e per la complessità dell’argomento, abbiamo condotto uno studio specifico in diverse città italiane”.

La ricerca, che si è svolta tra novembre e dicembre del 2020, durante la massima diffusione della seconda ondata di pandemia in Italia, ha analizzato la concentrazione delle particelle virali nell’aria in diversi ambienti di comunità operativi, anche durante le restrizioni: la stazione ferroviaria di Mestre e due supermercati nell’area metropolitana di Venezia; la mensa Cnr dell’area della ricerca di Bologna; un centro commerciale, una farmacia, ed un salone di parrucchiere a Lecce. I dati raccolti hanno quindi interessato aree del Paese con diffusione del virus e condizioni atmosferiche significativamente diverse.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Science and Pollution Research, a firma, oltre che del Cnr-Isac, dell’Istituto di scienze polari del Cnr, dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata (Izspb).

“La presenza del virus nei campioni di aerosol è stata verificata raccogliendo particolato atmosferico, PM10 e polveri totali sospese, e determinando la presenza del materiale genetico (RNA) del SARS-CoV-2 con tecniche avanzate di laboratorio – prosegue Contini –. Tutti i campioni raccolti sono risultati negativi e non sono state osservate differenze relative a orari di apertura, presenza di persone e chiusura degli ambienti. Questo significa che il virus è assente o in concentrazione inferiore alla rilevabilità e conferma come, con le limitazioni osservate (distanziamento fisico, contingentamento degli ingressi e uso delle mascherine), la probabilità di contagio airborne appare molto bassa”.

“I risultati delle misure sono compatibili con i risultati delle simulazioni svolte tenendo conto della situazione epidemiologica nelle diverse aree di studio e che ha evidenziato il ruolo importante della ventilazione negli ambienti indoor e dell’utilizzo delle mascherine nel ridurre i rischi di trasmissione in aria del virus – precisa Franco Belosi, del Cnr-Isac –. Ciò rafforza l’importanza di osservare negli ambienti chiusi le norme su mascherine, distanziamento e controlli, incrementando quanto possibile, la ventilazione”.

“Un rischio maggiore potrebbe infatti verificarsi in ambienti indoor ventilati più scarsamente, dove le goccioline respiratorie possono rimanere in sospensione per tempi più lunghi e depositarsi sulle superfici, incrementando la possibilità di contaminazione per contatto indiretto (mediato dalle superfici) rispetto al contatto diretto tra gli individui”, conferma Andrea Gambaro, docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

“Lo studio suggerisce anche l’importanza di sviluppare un protocollo standard per la valutazione della presenza del SARS-CoV-2 in aria, per migliorare i limiti di rilevabilità e omogeneizzare i risultati di studi diversi”, conclude Giovanna La Salandra, della Struttura ricerca e sviluppo scientifico dell’Izspb.

Redazione Nurse Times

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