Uno studio appena pubblicato su BMC Biology dimostra come un inibitore specifico della proteina JNK possa migliorare la progressione della malattia.
Un trattamento con un inibitore specifico della proteina JNK può migliorare la progressione della sindrome di Rett nei topi e bloccare la morte neuronale delle cellule delle pazienti con la mutazione MECP2. Lo dimostra uno studio appena pubblicato su BMC Biology.
“Abbiamo dimostrato che, bloccando l’azione della proteina JNK, importante nella de-regolazione dei processi fisiologici neuronali e nell’insorgenza di anomalie, attraverso un inibitore specifico, D-JNKI1, contrastiamo le alterazioni neuronali (disfunzione delle sinapsi) che caratterizzano questa patologia del neurosviluppo”, spiega Tiziana Borsello, docente di Anatomia umana all’Università degli Studi di Milano e capo-unità all’Istituto Mario Negri, che coordina lo studio.
“D-JNKI1, nel modello animale – continua – migliora i difetti motori che le crisi di apnee tipiche della patologia, se utilizzato nelle prime fasi, rendendo il meccanismo della comparsa sinaptica reversibile e dimostrandosi, così, un’importante, possibile terapia per la malattia. Inoltre, l’inibizione nelle cellule delle pazienti affette da Sindrome di Rett previene la morte cellulare indotta dalla mutazione di MECP2”.
I ricercatori hanno dunque dimostrato che anche le malattie del neuro-sviluppo presentano un impedimento nella comunicazione fra i neuroni. Un meccanismo neurodegenerativo che è perciò comune a tutte le malattie del cervello.
La Sindrome di Rett è una malattia genetica rara del neurosviluppo (frequenza: 1:10.000) causato da mutazioni nel gene MECP2 e rappresenta una delle cause più frequenti di deficit cognitivo nel genere femminile. Le bambine dagli “occhi belli” presentare un arresto dello sviluppo prima del compimento del secondo anno di vita, iniziare a perdere le capacità di linguaggio ormai acquisita, presentare una lieve microcefalia e un grave deficit cognitivo e comportamentale e manifestano anche disturbare respiratori gravi e deficit nel camminare. La malattia peggiora gradualmente nel tempo e, ad oggi, non esiste una terapia efficace.
“Questi risultati sono importanti – conclude Maurizio Bonati, capo Dipartimento Salute pubblica dell’Istituto Mario Negri – per individuare potenziali interventi terapeutici efficaci nel ridurre le disabilità cognitive in età evolutiva e la qualità della vita dei pazienti affetti da malattie del neurosviluppo ancora oggi neglette. I risultati dello studio incoraggiano a intraprendere le fasi successive della ricerca per la produzione di studi preclinici”.
Redazione Nurse Times
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