Li descrive uno studio, il primo al mondo, condotto dagli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
La sindrome di Brugada è una patologia cardiaca ereditaria con rischio di morte improvvisa, in assenza di difetti strutturali del cuore. Gli eventi avversi riguardano soprattutto giovani adulti tra i 30 e i 40 anni, ma in presenza di alcuni fattori di rischio non sono esclusi i bambini.
Il carattere piuttosto recente della scoperta e la scarsità di una casistica accurata provocano un comprensibile allarme nelle famiglie di bambini e ragazzi con sospetto clinico. Questo può spingere ad accrescere in maniera immotivata il numero di esami finalizzati alla diagnosi e alla stratificazione del rischio, fino addirittura all’adozione di strumenti terapeutici non adeguati.
Uno studio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, pubblicato sulla rivista Heart Rhythm, una delle più autorevoli nel campo dell’aritmologia, descrive in maniera specifica e per la prima volta gli effetti della sindrome di Brugada in soggetti di età inferiore ai 12 anni.
Una falla nel sistema elettrico del cuore – Sono stati i fratelli Pedro e Josep Brugada, nel 1992, ad identificare una patologia genetica (BrS) che coinvolge il sistema elettrico del cuore con una prevalenza di 1/2.000 – 1/5.000 individui. Colpisce alcune strutture poste sulla superficie delle cellule del cuore – i canali ionici – attraverso cui gli ioni (sodio, potassio, magnesio e calcio) escono ed entrano dalla cellula. Il malfunzionamento di queste strutture crea degli squilibri nell’attività elettrica che aumentano il rischio di aritmie potenzialmente fatali.
È una patologia che si manifesta soprattutto nei giovani adulti: il testosterone, infatti, sembra potenziarla. La diagnosi è basata sulla positività all’elettrocardiogramma (ECG) di specifiche caratteristiche cardiache, un pattern tipico che può essere fisso, intermittente o scatenato da farmaci o febbre superiore a 38°. Una mutazione genetica peculiare viene identificata solo nel 40 % dei casi, perché ad oggi solo alcuni geni sono stati identificati come responsabili della sindrome. Il gene più comunemente coinvolto è l’SCN5A, abilitato a codificare per la proteina che costituisce il canale ionico del sodio.
Il rischio di morte improvvisa – La sindrome di Brugada è responsabile di circa il 5% di tutte le morti improvvise in età adulta (sopra i 18 anni) e avviene durante il sonno o il riposo. Pazienti con pregresso arresto cardiaco, familiarità per morte improvvisa, esperienza precedente di episodi sincopali (brevi perdite di conoscenza che provocano la caduta del soggetto se questi è in piedi) ed evidenza di aritmie maligne, sono identificabili come pazienti ad alto rischio di morte improvvisa cardiaca, inclusi i bambini.
Pochissimi lavori scientifici in letteratura riportano dati su pazienti pediatrici affetti da questa sindrome e sono relativi a popolazioni tra 0 e 19 anni. L’ampio arco di età che coinvolge pazienti infanti, prepuberi e puberi non permette di capire esattamente come si esprime la sindrome di Brugada nei bambini che sono nella fascia compresa tra 0-12 anni. Estrapolando, con un certo margine di imprecisione, i dati da queste pubblicazioni, si può ad oggi parlare di un’incidenza di morte improvvisa nella popolazione pediatrica affetta dalla sindrome di Brugada pari al 4% nei bambini al di sotto dei 12 anni e al 10% in quelli al di sotto dei 19 anni.
Le linee guida e lo studio del Bambino Gesù – Con l’obiettivo di ottenere dati più certi, il gruppo del dott. Fabrizio Drago, responsabile dell’Unità di ricerca Cardiopatie nell’ambito dell’Area di ricerca Malattie Multifattoriali dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, ha promosso dapprima la stesura delle prime Linee guida sul corretto comportamento da adottare con i bambini minori di 12 anni affetti da Sindrome di Brugada (pubblicate sulla Rivista Minerva Pediatrica nel 2019). In seguito ha realizzato uno studio osservazionale su un gruppo di pazienti del Bambino Gesù che hanno presentato la sindrome in questo range d’età.
Scopo dello studio, che vede come primo autore la dott.ssa Daniela Righi, è stato quello di identificare le caratteristiche, i risultati a distanza di tempo e i fattori di rischio associati con gli eventi aritmici e cardiovascolari. Nello studio sono stati coinvolti 43 pazienti (25 femmine e 18 maschi) selezionati in base allo screening elettrocardiografico o in base all’invio da altri Centri. Di questi 13 presentavano un pattern ECG spontaneo e 30 indotto (in 24 casi da febbre). In 14 pazienti era presente una mutazione del gene SCN5A. Il follow-up mediano è stato di 4 anni.
I risultati della ricerca – La buona notizia è che nessun paziente è deceduto durante i quattro anni del periodo di follow-up. Dai dati raccolti si evince che l’incidenza di aritmie maligne, e quindi a rischio di morte improvvisa, è stata significativamente maggiore nei pazienti con pregressa sincope oppure con mutazione del gene SCN5A e nei pazienti ad alto rischio che erano risultati positivi allo studio elettrofisiologico del cuore.
Un altro dato rilevante emerso dallo studio è che il pattern ECG Brugada di tipo 1 spontaneo, non sembra essere associato a un’incidenza maggiore di aritmie maligne e non maligne o episodi di sincope rispetto a quello indotto da farmaci o febbre. Questo dato sconfessa alcuni precedenti studi che, includendo pazienti con ampio arco di età pediatrica, affermavano il contrario. Nel campione di pazienti minori di 12 anni, inoltre, è stata notata una frequenza di eventi aritmici maligni maggiore nelle femmine, in modo opposto a quanto avviene nell’età postpuberale, caratterizzata nei maschi dall’aumento della produzione di testosterone.
Le prospettive cliniche – Allo stato attuale, tre dei 43 pazienti dello studio sono portatori di defibrillatore impiantabile che è in grado di interrompere l’insorgenza di fibrillazione ventricolare e il conseguente arresto cardiaco; sette sono monitorati in telemedicina con registratori ECG impiantati per via sottocutanea nell’area toracica al di sopra del cuore, mentre a uno è stato impiantato un pace-maker. Tutti gli altri non hanno subito interventi specifici e continuano ad essere monitorati in ambulatorio con ritmo trimestrale o semestrale.
“Adesso sappiamo come gestire questa sindrome nei bambini più piccoli – afferma Fabrizio Drago, responsabile di Cardiologia e aritmologia al San Paolo, Palidoro e Santa Marinella e coordinatore del Centro di canalopatie cardiache dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù –. Il nostro studio rivela che è utilissimo uno screening elettrocardiografico per identificare il più precocemente possibile tale patologia e che i bambini con sindrome di Brugada, facendo attenzione ai fattori di rischio per morte improvvisa individuati per questa età specifica, possono avere un futuro più sicuro rispetto a quello che abbiamo riscontrato finora”.
Redazione Nurse Times
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