Il sito della rivista Nature ricostruisce le ipotesi sulla genesi della mutazione del coronavirus divenuta in poco tempo prevalente.
Mutazioni che avrebbero potuto essere un campanello d’allarme, ma che sono in qualche modo sfuggite all’attenzione dei genetisti fra le migliaia di sequenze genetiche del virus SarsCoV2 finora depositate. Oppure mutazioni accumulate in un individuo durante un’infezione durata molto a lungo. O ancora mutazioni emerse in nuovi animali ospiti del virus, come topi o ratti. Sono queste le tre ipotesi principali sull’origine della variante Omicron e sulla sua “sorella” recentemente identificata in Italia, chiamata BA.2. Le ricostruisce la rivista Nature sul suo sito, rilevando che al momento sono tutte e tre ugualmente valide.
Non si rileva, infatti, un legame chiaro della Omicron con le varianti che l’hanno preceduta, come Alfa e Delta: “Sembra uscita dal nulla”, dice il biologo computazionale Darren Martin, dell’Università di Città del Capo (Sudafrica). Uno dei pochi elementi finora chiari di questa nuova variante è la grandissima facilità con cui si diffonde: in nemmeno due mesi è già presente in oltre 120 Paesi. E’ evidente anche il suo grande numero di mutazioni: sono così tante che un’ipotesi avanzata da alcuni genetisti e riportata da Nature ritiene che il suo antenato più prossimo possa risalire a oltre a un anno fa, intorno a metà 2020.
Identificata nel novembre 2021 in Sudafrica e Botswana, la variante Omicron stava circolando già da almeno uno o due mesi, ma un’analisi retrospettiva ha permesso di stabilire che dai primi di novembre era già presente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, e l’analisi delle centinaia di sequenze della Omicron finora depositate nelle banche dati internazionali, come Gisaid, indica inoltre che la nuova variante stava cominciando a circolare già alla fine di settembre o all’inizio di ottobre dello scorso anno. Secondo gli esperti intervistati da Nature, il fatto che la Omicron sia stata individuata in Sudafrica è poco indicativo: considerando che l’aeroporto di Johannesburg è il più grande del continente africano, la variante potrebbe essere arrivata lì da qualsiasi altra parte del mondo.
Un altro rompicapo sono le mutazioni della Omicron, alcune delle quali mai viste prima: più di 50 rispetto al virus originale di Wuhan. E di queste, 30 si trovano sulla proteina Spike, principale bersaglio degli attuali vaccini. Un’altra curiosità sono le tre sotto-varianti, chiamate BA.1, BA.2 e BA.3, che sembrano essere comparse tutte nello stesso momento, ma viste solo molto recentemente. Questo significa, rileva Nature, che Omicron è in grado di diversificarsi prima ancora che i ricercatori se ne accorgano.
Capire l’origine di Omicron non è affatto una questione accademica, perché sapere come è emersa potrebbe aiutare a capire in quali condizioni potrebbero formarsi nuove varianti e forse a prevenirle. Tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha istituito in gennaio il gruppo di lavoro sulle Origini dei nuovi patogeni, e in febbraio è atteso un primo rapporto.
Redazione Nurse Times
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