Il Policlinico raggiunge quota 500 nel conto delle donazioni di rene da vivente. Una storia cominciata nel 1970.
Era il giorno del suo compleanno, e il regalo più grande glielo stava facendo lei, sua madre. Perché quel giorno entrava al Policlinico di Milano con suo figlio per donargli un rene e restituirlo a una nuova vita. Una storia di amore come ce ne sono tante, specialmente nel percorso di un trapianto, ma che per il Policlinico è un po’ più speciale, dato che fa segnare quota 500 nel conto delle donazioni di rene da vivente.
Mamma e figlio vengono da un’altra regione, dove lui era in cura per una grave insufficienza renale, sviluppata solo qualche anno prima. Ha poco meno di 50 anni e non è in dialisi, anche se diventerà indispensabile di lì a poco. A lui serve un rene nuovo: l’unica strada è il trapianto, ma la lista d’attesa per riceverlo da un donatore deceduto è lunga, e per la migliore riuscita del percorso sarebbe meglio evitare del tutto la dialisi.
È qui che mamma e figlio scoprono la possibilità della donazione da vivente: un’opzione ancora poco conosciuta, ma che permetterebbe loro di tornare a una vita normale. La madre risulta compatibile, è in buona salute e la sua vita quotidiana non cambierà di una virgola con un rene in meno. La decisione è immediata, e salgono sul treno che li porterà a Milano. L’intervento, in realtà, ne comprende due: il prelievo del rene dalla madre e poi il vero e proprio trapianto nel paziente. Pensano a tutto gli specialisti della Chirurgia generale – Trapianti di rene del Policlinico di Milano, guidati da Mariano Ferraresso.
“Il trapianto di rene da donatore vivente – racconta Ferraresso – è una procedura ancora poco praticata in Italia. Il più delle volte viene vista come ultima scelta dopo lunghi periodi di attesa di un rene da donatore deceduto, anche se i risultati internazionali ci dicono che questa è la prima opzione da prendere in considerazione, specialmente quando ancora la dialisi non è iniziata. Purtroppo non sempre è praticabile, e a volte non basta solo la volontà. Ci vuole anche una forte determinazione. Nel nostro caso, per arrivare all’intervento, entrambi hanno dovuto perdere tra i 15 e i 20 chilogrammi di peso, mentre la mamma donatrice ha smesso di fumare dopo 40 anni i suoi due pacchetti di sigarette giornalieri. Tutto questo dimostra come sia messa la massima cura nella selezione dei donatori per garantire che il loro gesto d’amore avvenga in tutta sicurezza”.
“Il primo trapianto di rene al Policlinico di Milano è del 1969 – commenta il direttore generale Ezio Belleri –. Da allora i nostri chirurghi ne hanno fatti quasi 3.700, di cui 460 su pazienti pediatrici. Il primo intervento con un donatore vivente è del 1970, e oggi arriviamo a contarne ben 500, di cui 62 a favore di bambini con gravi patologie renali. Tra questi gesti di generosità e altruismo ce ne sono due che spiccano in particolare, due donazioni ‘samaritane’ in cui il donatore ha voluto dedicare uno dei propri reni a un paziente che non conosceva. Il paziente più giovane che abbiamo trapiantato aveva solo un anno, il più anziano 83. Questo, credo, rende bene l’idea di cosa significhi lavorare ogni giorno per prendersi cura di tutti, in ogni età della vita”.
Oggi madre e figlio sono tornati a casa, stanno entrambi bene e lo spauracchio della dialisi è ormai un ricordo. A legarli non c’è più soltanto l’affetto, ma anche il sapere di essere i protagonisti di un’avventura a lieto fine che è l’ultima di una lunga serie. O, più probabilmente, la prima delle prossime 500 donazioni di rene da vivente.
Redazione Nurse Times
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