Uno studio internazionale ha dimostrato come, in presenza di ritmi rapidi nel cuore, si instaurino oscillazioni elettriche che portano a risincronizzare il ritmo cardiaco.
Grazie alle competenze in fisiologia cardiaca e microscopia ottica presenti all’interno dell’Istituto nazionale di Ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ino), dell’Università di Firenze e del Laboratorio europeo di spettroscopia non-lineare (Lens) è stato scoperto un nuovo meccanismo di protezione che il cuore applica in presenza di tachicardie ventricolari. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Basic Research in Cardiology, ha dimostrato come, in presenza di ritmi rapidi nel cuore, si instaurino delle complesse oscillazioni elettriche che portano a risincronizzare il ritmo cardiaco. In altre parole, una sorta di auto-defibrillazione.
“Il nostro cuore si contrae con ritmi regolari grazie ad una sequenza di impulsi elettrici chiamati potenziali d’azione – spiega Leonardo Sacconi, primo ricercatore del Cnr-Ino –. Le aritmie cardiache sono alterazioni della frequenza e della propagazione di tali impulsi. Tra le varie aritmie cardiache troviamo la tachicardia ventricolare in cui la frequenza cardiaca è significativamente aumentata. Quest’ultima è un tipo di aritmia pericolosa in quanto può degenerare in fibrillazione ventricolare, con esiti fatali”.
I ricercatori hanno studiato le dinamiche elettriche alla base della tachicardia ventricolare, andando anche a esplorare quali misure il cuore mette in atto per contrastare le aritmie. “Abbiamo osservato che i segnali elettrici che precedono la terminazione spontanea di una tachicardia ventricolare sono caratterizzati da una dinamica oscillatoria di impulsi di durata diversa da un battito all’altro chiamata alternans – spiega Valentina Biasci, primo autore dello studio e assegnista di ricerca presso il Lens –. Sfruttando l’optogenetica, una tecnica emergente che permette di manipolare l’attività elettrica del cuore mediante l’utilizzo della luce, è stato possibile amplificare le dinamiche oscillatorie durante tachicardie ventricolari”.
I risultati sono andati oltre le aspettative. “Quando le alternans venivano aumentate, abbiamo riscontrato una maggiore suscettibilità da parte del cuore all’auto-terminazione dell’evento aritmico – aggiunge Sacconi –. Questo ci ha permesso di dimostrare l’effetto cardio-protettivo delle alternans durante gli eventi aritmici, come se fossero un vero e proprio meccanismo di difesa innescato dal cuore stesso al fine di risincronizzarsi”.
Possibile lo sviluppo di una nuova generazione di farmaci e dispositivi medici antiaritmici che sfruttano come meccanismo d’azione l’aumento delle alternans cardiache durante gli eventi aritmici. “Una possibile futura applicazione clinica potrebbe essere la progettazione di un defibrillatore cardiaco impiantabile a bassa energia, a fronte di quelli attuali la cui efficacia è limitata dai dolorosi shock elettrici che li caratterizzano”, conclude Biasci.
Redazione Nurse Times
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