L’esame misura l’attività nel sangue di un enzima denominato glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD).
La G6PD serve per proteggere le cellule, specialmente i globuli rossi, dagli effetti di un processo chiamato ossidazione che consiste nella perdita di elettroni a vantaggio di un’altra sostanza che li cattura.
Se l’attività della G6PD dentro i globuli rossi è insufficiente, essi diventano più vulnerabili e non sono in grado di contrastare la perdita di elettroni. In particolare, per quanto riguarda i globuli rossi, l’ossidazione può riguardare anche una proteina importante per il trasporto di ossigeno a tutto il corpo: l’emoglobina. Quando ciò avviene, l’emoglobina si lega alla membrana dei globuli rossi e ne causa la morte per lisi (rottura della membrana delle cellule).
Il deficit di G6PD è il difetto enzimatico più comune al mondo. Le regioni più colpite sono l’area mediterranea, l’Africa subsahariana, le Americhe (popolazioni africane e ispaniche) e l’Asia sudorientale.
Le mutazioni del gene della G6PD (si conoscono più di 180 varianti molecolari) possono portare alla produzione di un enzima con funzioni, stabilità e attività ridotte.
Il gene della G6PD è localizzato sul cromosoma X (Xq28).
Ciò significa che la forma più grave della malattia si presenta nei maschi (che hanno nel loro corredo genetico un solo cromosoma X) con un solo gene G6PD mutato, e nelle femmine (che hanno nel loro patrimonio genetico due cromosomi X) con entrambi geni mutati. Al contrario, le femmine che hanno un solo gene X mutato, sono portatrici sane o sviluppano la malattia in modo lieve.
La maggior parte delle persone con deficit dell’enzima G6PD non ha disturbi (sintomi), conduce una vita normale, non sa di essere portatore del difetto e può sviluppare una malattia soltanto in specifiche circostanze.
Il periodo neonatale, nei bambini con tale difetto enzimatico, può essere critico perché hanno un maggior rischio di sviluppare l’ittero neonatale persistente (kernittero) che si manifesta con la colorazione gialla della pelle e degli occhi causata da alti livelli di bilirubina.
Se non curata questa forma di ittero, che si presenta generalmente al terzo giorno di vita, può provocare danni a livello neurologico e ritardo mentale.
In particolari condizioni come, ad esempio, a seguito dell’assunzione di alcuni medicinali (antimalarici, analgesici, sulfamidici, ecc.), di taluni alimenti come le fave (favismo), il contatto con certe sostanze chimiche (come naftalina, o il colorante chiamato hennè che è estratto da una arbusto della famiglia delle lythraceae) infezioni batteriche e virali, si può verificare la distruzione dei globuli rossi (crisi emolitica) che determina un’anemia emolitica acuta di varia gravità.
Ciò avviene perché queste sostanze causano uno “stress ossidativo” che i globuli rossi con l’enzima difettoso non riescono a contrastare e, di conseguenza, vengono distrutti. In questo caso il malato ha la sensazione di affaticamento causato dalla diminuzione della quantità di ossigeno che viene trasportata nell’organismo a causa dell’anemia. Se l’anemia si presenta di grave entità, possono essere necessarie trasfusioni di sangue.
Una piccola percentuale di malati con difetto del G6PD presenta un’anemia emolitica cronica causata da varianti rare della G6PD che hanno un’attività inferiore al 10% del normale.
Il Test
L’esame è eseguito su una piccola quantità (campione) di sangue prelevato con un ago dalla vena del braccio. Nei neonati il prelievo del sangue è eseguito sui capillari.
Può essere prescritto in occasione di controlli alla nascita o per scoprire la malattia nelle popolazioni con un’alta frequenza del difetto enzimatico (ad esempio in Sardegna). Il test può essere eseguito anche mediante procedure che richiedono solo una goccia di sangue da deporre su della carta da filtro.
In caso di risultato positivo, il test va completato con un’analisi quantitativa che misuri l’esatta quantità del G6PD. Tale esame permette di individuare un eventuale deficit dell’enzima e di determinarne la gravità nei maschi e nelle femmine (con una doppia mutazione). Nelle femmine che hanno una sola mutazione del gene relativo all’enzima, l’accertamento della malattia (diagnosi) non è possibile senza uno studio familiare e un’analisi genetica.
Di solito, i test genetici non sono effettuati nei normali controlli, ma possono essere richiesti per determinare quali mutazioni/e siano presenti. Alcune sono più comuni in certe aree geografiche (ad esempio, in Italia, la G6PD Mediterranea, Seattle, A- , Union e Cassano) e pertanto l’analisi prevede prima la ricerca delle mutazioni più comuni e solo successivamente, se necessario, l’approfondimento su tutto il gene G6PD.
Quando è prescritto
La misura dell’attività del G6PD è eseguita soprattutto su persone che hanno avuto disturbi (sintomi) collegati all’anemia (come affaticamento, pallore, una rapida frequenza cardiaca) e/o ittero (colorazione gialla degli occhi e della pelle).
I risultati delle loro analisi di laboratorio mostrano un aumento della concentrazione di bilirubina, emoglobina nelle urine, una diminuzione del numero dei globuli rossi, e un aumento del numero dei reticolociti (globuli rossi immaturi che indicano un aumento nella loro produzione).
Qualche volta si osserva al microscopio la presenza dei cosiddetti corpi di Heinz (emoglobina precipitata) dentro i globuli rossi.
La misura della attività del G6PD va prescritta solo dopo il superamento della fase acuta della malattia e a distanza di tempo da una eventuale trasfusione.
Non dovrebbe essere effettuata durante una crisi emolitica perché il risultato potrebbe essere falsato e mostrare un livello di attività dell’enzima più alto di quanto sia in realtà.
Durante la crisi emolitica, infatti, i globuli rossi più vecchi e più carenti di G6PD sono distrutti e rimangono visibili solo quelli più giovani e con una attività enzimatica di G6PD più elevata. Il test dovrebbe essere effettuato dopo alcune settimane per dare tempo ai globuli rossi di ripopolarsi e di maturare.
La misura dell’attività di G6PD può essere prescritta a bambini che presentino un ittero persistente, non imputabile ad altra causa.
Può anche essere richiesta a persone di ogni età che abbiano avuto uno o più episodi di anemia emolitica, specialmente in coincidenza con infezioni virali o batteriche, o siano stati esposti, nelle 24-48 ore precedenti la comparsa della crisi, a sostanze potenzialmente responsabili della sua insorgenza (come fave, naftalina, o alcuni farmaci). La ripetizione della misurazione di G6PD può essere richiesta in maniera occasionale per confermare un quadro iniziale.
Risultati
I risultati delle analisi (referti) forniti dal laboratorio dovrebbero indicare, per ogni esame, gli intervalli entro cui i valori riscontrati sono ritenuti normali (intervalli di riferimento). In ogni caso, anche con risultati nella norma, è opportuno mostrarli al medico curante che, conoscendo lo stato di salute dei propri assistiti, può valutarli e interpretarli correttamente.
I risultati del test G6PD, infatti, variano in base al metodo utilizzato per rilevarli e ad una serie di fattori quali l’età della persona, il sesso, la popolazione di riferimento.
I neonati, ad esempio, hanno valori normali di G6PD più alti degli adulti, le persone malate di talassemia (frequente in alcune aree mediterranee) e di difetto di G6PD avranno dei valori di normalità definiti dal confronto con quelli delle persone talassemiche che non hanno il difetto dell’enzima.
In generale, più basso è il livello di attività di G6PD, maggiore è la probabilità che la persona presenti dei disturbi (sintomi) se è esposta a fattori che possano causare uno stress ossidativo.
La gravità dei disturbi può variare da persona a persona, da episodio a episodio o in base al tipo di farmaco assunto e dal suo dosaggio. La crisi emolitica da ingestione di fave, ad esempio, non si verifica in tutti i portatori di difetto di G6PD, ma solo in una parte di essi.
Se i risultati del test di una persona di sesso maschile evidenziano livelli normali di attività della G6PD, il deficit non è presente perché il gene relativo a questo enzima si trova sul cromosoma X. Al contrario, se in una donna i risultati mostrano livelli normali di attività di G6PD non è possibile escludere che il difetto riguardi almeno uno dei due cromosomi X e, quindi, che la persona esaminata sia una cosiddetta portatrice sana (“eterozigote”).
Quando in una famiglia le donne presentano carenza di G6PD, sarebbe opportuno effettuare una consulenza genetica prima di un eventuale concepimento per valutare il rischio di trasmissibilità al nascituro.
Un maschio malato trasmetterà il difetto di G6PD solo alle figlie femmine (poiché esse ereditano un cromosoma X dal padre e uno dalla madre) che diventeranno, così, portatrici eterozigoti (vale a dire, avranno il gene mutato in uno solo dei due cromosomi X, quello ereditato dal padre).
Una femmina portatrice eterozigote ha il 50% di possibilità di trasmettere il difetto ai propri figli, mentre una femmina omozigote (vale a dire con il gene della G6PD mutato in entrambi i cromosomi X) trasmetterà il difetto a tutti i suoi bambini. Il tipo di mutazione sarà lo stesso in tutta la famiglia e potrebbe essere comune in una regione geografica.
Redazione NurseTimes
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