A questa conclusione, valisda soprattutto per chi è costretto in terapia intensiva, è giunto uno studio condotto da ricercatori della Rush University di Chicago.
I pazienti Covid con gravi difficoltà respiratorie, in particolare quelli costretti in terapia intensiva, devono essere posti in posiziona prona per ridurre le probabilità di un’intubazione. Questa la conclusione a cui è giunto uno studio pubblicato su Lancet Respiratory Medicine da Jie Li, ricercatore della Rush University di Chicago, che spiega: “Il posizionamento prono dei pazienti svegli è stato ampiamente utilizzato per gli individui non intubati con insufficienza respiratoria ipossiemica acuta correlata a Covid-19, nonostante i risultati contrastanti ottenuti negli studi randomizzati controllati. Per questo abbiamo cercato di sintetizzare i risultati associati a questa posizione in generale e in sottogruppi particolari”.
Gli scienziati hanno analizzato dieci studi randomizzati e controllati, per un totale di 1.985 partecipanti, e 19 studi osservazionali che hanno interessato 2.669 pazienti. Negli studi controllati la posizione prona ha ridotto in maniera significativa la necessità di intubazione nella popolazione complessiva. Stando ai risultati di un’analisi più approfondita, i risultati migliori si ottengono quando il posizionamento prono in stato di veglia è eseguito in pazienti che hanno ricevuto supporto respiratorio avanzato, come la cannula nasale ad alto flusso o la ventilazione non invasiva, al momento dell’arruolamento e in terapia
intensiva, ma non in pazienti che hanno ricevuto ossigenoterapia convenzionale o in contesti non di terapia intensiva.
Risultati simili sono emersi dagli studi osservazionali, anche se gli autori sottolineano che non è stato possibile dimostrare benefici in termini di mortalità, necessità di supporto respiratorio ulteriore, ricovero in terapia intensiva, durata della degenza in terapia intensiva o durata della degenza ospedaliera.
In un editoriale di commento Kiran Shekar, dell’Università del Queensland, e Ryan Ruiyang Ling, dell’Università Nazionale di Singapore, spiegano che la pandemia ha consentito di riprogrammare la futura gestione dell’insufficienza respiratoria ipossiemica acuta: “Speriamo che nel mondo post-pandemia saremo un passo avanti nell’offrire supporti respiratori più personalizzati, equi, basati sui valori e sulle prove per i pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica acuta”.
Redazione Nurse Times
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