E’ giunto a termine il lungo processo di primo grado a carico di Giuliano Laghi, condannato a 18 mesi di reclusione (pena sospesa) e a risarcire l’Azienda sanitaria con una provvisionale di 5.000 euro.
Giuliano Laghi (foto), infermiere che nel lontano 2015, al termine di una lunga indagine, fu arrestato dai carabinieri a Carrara perché utilizzava l’auto dell’Asl per raggiungere la sede della Copac (cooperativa di cui, secondo l’accusa, faceva l’amministratore durante l’orario di lavoro), è stato condannato a 18 mesi di reclusione (pena sospesa) e a risarcire l’Asl Massa-Carrara, costituitasi parte civile, con una provvisionale di 5.000 euro.
Confermato, dunque, l’impianto accusatorio del pm Elena Marcheschi, che parlava di truffa all’Asl e peculato d’uso, basandosi sulle dichiarazioni rilasciate in aula dagli investigatori, ma anche sulla testimonianza di un dipendente della cooperativa, che aveva confermato la condotta illecita dell’infermiere, che nel 2015 aveva 58 anni, e ricordando che questi era socio di Copac.
“Mia mamma aveva bisogno di assistenza a casa – aveva detto la testimone -. Poi è morta, ma allora era a letto e aveva bisogno di aiuto. L’Asl doveva mandare qualcuno, ma l’infermiere non veniva sempre”. In aula era stata ascoltata anche l’ex funzionaria dell’Asl incaricata del coordinamento del servizio infermieristico a domicilio in cui Laghi era impegnato. Ed è stata ricostruita l’attività dell’infermiere attraverso l’analisi delle cartelle cliniche dei pazienti: su alcune mancava la firma, mentre altre erano regolari.
La dirigente aveva sottolineato come all’infermiere, per la sua esperienza, fossero affidati pazienti con particolari problemi. Nel 2019 l’imputato si è difeso dicendo di aver sempre compiuto il suo dovere e che le soste avvenute durante l’orario di lavoro erano brevissime. In una delle udienze, però, solo una delle quattro donne chiamate a testimoniare ha detto di ricordarlo accanto al congiunto. Per la verità una aveva lodato le sue capacità, spiegando che era il più abile a trovare la vena nel braccio del marito. Alla domanda del giudice, una teste ha detto di ricordare che gli addetti inviati a casa dall’Asl arrivavano in ritardo abbastanza spesso. E che erano quasi sempre donne.
Nella sua arringa l’avvocato difensore aveva chiesto l’assoluzione, sostenendo che nessun paziente dell’Asl si è mai lamentato di Laghi e che il “diario di lavoro“ era solo indicativo, in quanto gli infermieri chiamati a seguire i pazienti a casa si scambiavano spesso il lavoro tra loro. Ha inoltre detto che socio Copac era la moglie dell’imputato, non lui, che si recava alla cooperativa per alcune operazioni di carità. Argomentazioni che però non hanno convinto il giudice Augusto Lama.
Alla lettura della sentenza era presente l’avvocato dell’Asl, che ha aderito alle richieste del pm. Sarà lui, d’intesa con i vertici dell’ente, a stabilire l’entità del risarcimento danni da chiedere all’ex dipendente. L’avvocato Lattanzi, dal canto suo, attenderà i canonici 90 giorni per le motivazioni e poi ricorrerà in appello, anche se, svela, a quel tempo il reato sarà prescritto.
Redazione Nurse Times
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