Il farmaco, composto da aspirina, atorvastatina e ramipril, è frutto di una ricerca presentata al Congresso europeo di cardiologia di Barcellona.
È nata la “polipillola”, composta da aspirina, atorvastatina e ramipril, per prevenire le ricadute da infarto. Perché quando una persona ha un infarto, documenta il Paìs, accade che un’arteria del cuore si ostruisce a causa della formazione di un trombo: “Questi vasi sanguigni, pertanto, sono come una specie di tubo attraverso il quale circola il sangue, e sostanze come il colesterolo tendono ad accumularsi sulle pareti di queste arterie, creando una specie di placca (aterosclerosi) che, una volta rotta, viene a contatto col sangue e forma coaguli che interrompe la corretta circolazione del sangue al cuore”.
Per questo motivo i cardiologi di solito prescrivono un antiaggregante piastrinico, come l’aspirina, ai pazienti con infarto per prevenire nuovi trombi. Ma anche una statina per aiutare a controllare i livelli di colesterolo e stabilizzare le placche di aterosclerosi; E in alcuni casi un antipertensivo. Insomma, almeno tre pillole, se non di più. Dipende da caso a caso, perché ogni paziente è un caso a sé.
La “polipillola” riunisce l’antiaggregante piastrinico, l’aspirina e antipertensivo, migliorando l’aderenza al trattamento e riducendo del 24% il rischio di nuovi gravi problemi cardiovascolari, come ictus o altro attacco cardiaco in questo gruppo di pazienti. Lo ha reso noto Valentín Fuster, cardiologo del National Center for Cardiological Research (CNIC), che ha pubblicato i risultati dello studio condotto dal suo team sul New England Journal of Medicine.
La pillola, ideata 15 anni fa da Fuster per facilitare il follow-up della terapia, riduce del 33% le morti cardiovascolari. Tutto ha però avuto inizio nel 2007, quando lo stesso Fuster si è reso conto che “l’aderenza ai farmaci nelle malattie cardiovascolari era molto bassa”. Meno del 50% dei pazienti con una malattia cronica assume i farmaci correttamente, stimano gli esperti. Proprio a causa della complessità del trattamento con più pillole e della scarsa aderenza ad essa è nata quindi l’idea di sviluppare tre pillole in una.
Fuster ha presentato i risultati della sua ricerca al Congresso europeo di cardiologia di Barcellona. La creazione della “polipillola” è molto difficile e, secondo l’azienda farmaceutica Ferrer, che ha partecipato allo sviluppo, il farmaco ha iniziato a essere disponibile già nel 2008. Solo nel 2014, tuttavia, l’Agenzia spagnola per i medicinali ha dato il via libera per la distribuzione, e nel 2015 è iniziata la commercializzazione.
Da allora i ricercatori hanno iniziato a lavorare sull’idea di misurare il successo della loro strategia di prevenzione secondaria (dopo l’infarto) in termini di salute e hanno avviato lo studio Secure. Hanno cioè studiato quasi 2.500 persone con infarto di età superiore a 75 anni o superiore a 65 con qualche fattore di rischio (diabete, insufficienza renale o precedente ictus, tra gli altri). Queste persone sono state divise in due gruppi: uno ha ricevuto la “polipillola”, mentre l’altro ha ricevuto il trattamento standard con pillole separate. E sono state seguite per una media di tre anni.
Sottolinea Fuster: “Abbiamo esaminato la coincidenza di morte cardiovascolare, infarto, evento cerebrovascolare e rivascolarizzazione urgente. Tutto era più basso nel gruppo polipill. Le curve tra i gruppi iniziano a separarsi dal primo momento e sono ancora separate a quattro anni di distanza. Se proseguissimo con lo studio, le curve sarebbero probabilmente ancora più lontane”.
Il rischio di questi eventi cardiovascolari, come detto, è stato ridotto del 24% tra coloro che assumevano la “polipillola” rispetto al gruppo che ha ricevuto il trattamento separato. Le morti cardiovascolari, in particolare, sono state ridotte del 33%: da 71 pazienti nel gruppo di trattamento abituale a 48 nel gruppo polipillola.
Tuttavia il medico è soddisfatto a metà, perché a suo avviso la pillola, sebbene migliori i risultati sulla salute, non è una panacea. Ci sono altri rischi che possono continuare a giocare contro, perché i pazienti continuano a soffrire di obesità, diabete di tipo II, ipertensione o altre condizioni cliniche di rischio per problemi cardiovascolari. “Circa il 10% o il 15% dei pazienti con infarto soffre di un altro problema cardiovascolare tra tre e cinque anni dopo l’infarto”, afferma il cardiologo.
Controindicazioni? Una delle argomentazioni che la comunità scientifica ha avanzato contro la “polipillola”, scrive il Paìs, è che “le linee guida cliniche per il trattamento dei pazienti dopo un infarto richiedono una medicina altamente personalizzata, adeguando le dosi e le cure alle esigenze specifiche di ciascun paziente, cosa non fattibile nella pratica con le dosi fisse imposte dalla polipillola”.
Ma José María Castellano, direttore scientifico della HM Research Foundation e coautore del rapporto, difende i vantaggi del farmaco. E Fuster ha sempre messo in luce la prospettiva sociale con cui è stato concepito il progetto. Il cardiologo guarda infatti ai Paesi più disagiati, dove questo farmaco “sarebbe più economico e l’aderenza molto maggiore”.
Redazione Nurse Times
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