Lo rivelano i dati sugli interventi chirurgici del 2021 elaborati da Agenas. Le Regioni settentrionali incassano meno da quelle meridionali, dove però aumentano le liste d’attesa.
Con l’epidemia di Covid-19 sono diminuiti i cosiddetti viaggi della speranza dei malati. In altre parole, ci si sposta meno da una regione a un’altra per motivi di salute, in particolare dal quelle meridionali a quelle settentrionali. E’ quanto si evince dai dati sugli interventi chirurgici del 2021 elaborati da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitariu regionali).
A livello nazionale la mobilità sanitaria si è ridotta del 15% (nel 2020 era scesa del doppio, ma in quell’anno il sistema sanitario era di fatto paralizzato), e in buona parte il calo riguarda la mobilità definita “evitabile”, ossia riferita a prestazioni non molto complesse. Da segnalare un calo importante (-34% rispetto al 2021) delle somme incassate dalla Lombardia per le cure a chi arriva da fuori regione. Segue la Toscana (-25%), mentre tengono altre grandi realtà che attraggono malati, come Emilia Romagna (-6%) e Veneto, rimasto stabile. In controtendenza il Piemonte, che ha registrato un aumento dei pazienti arrivati da fuori regione rispetto al 2019. E, capovolgendo la prospettiva, la fotografia di questo fenomeno arriva da Campania, Sicilia e Puglia, che hanno visto partire circa 30-35 mila pazienti in meno.
Ovvia conseguenza di questa poarziale inversione di tendenza, la diminuzione degli incassi per alcune Regioni del Centro-Nord. Nel 2019 la Lombardia aveva incassato un miliardo e 73 milioni per interventi chirurgici, ma l’anno scorso questa somma è scesa a 713 milioni. La Toscana ha “perso” 50 milioni, mentre le altre grandi Regioni hanno recuperato, tornando più o meno ai livelli del 2019. Il che fa pensare a una tendenza che potrebbe consolidarsi anche dopo la pandemia. Di contro, le Regioni di partenza, che pagano le prestazioni per i propri cittadini a quelle di destinazione, hanno risparmiato denaro. Così come hanno risparmiato le famiglie dei malati, che comunque sostengono le spese di viaggio e alloggio.
C’è però un rovescio della medaglia: chi resta “a casa” chiede la prestazione sanitaria dove vive e, se il sistema sanitario è debole, come capita al Sud, va incontro a lunghe liste di attesa. “Il problema c’è – spiega Enrico Coscioni, chirurgo a Salerno e presidente Agenas –. Il pubblico è in difficoltà perché il personale è poco e da noi ci sono i tetti per l’attività privata in convenzione. Così i tempi si allungano. Al Nord, in Lombardia, hanno strutture dedicate che vedono i malati in quattro o cinque giorni. Per questo temo che i viaggi riprendano”.
Di diverso avviso Giovanni Migliore, direttore generale del Policlinico di Bari e presidente Fiaso, la (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere): “Il Covid, costringendo i pazienti a non muoversi, in certi casi ha fatto scoprire la sanità del proprio territorio. Ora la sfida è dare servizi di qualità in un tempo che non faccia disaffezionare le persone alla struttura pubblica. Detto questo, l’aumento delle liste d’attesa è inevitabile. Per questo dobbiamo puntare sui professionisti, stabilizzarndoli. Inoltre vanno modificati certi percorsi consolidati. Da noi, ad esempio, c’è il problema di coloro che cambiano regione per farsi operare l’alluce valgo, un intervento che ovviamente si può fare benissimo anche in Puglia”.
Redazione Nurse Times
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