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Il rischio clinico ed il carico di lavoro

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Stress sul lavoro: da Nursing Up un corso ECM che insegna a gestirlo
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Nell’ambito del rischio clinico, spesso il carico di lavoro, l’estrema pressione e la composizione dello staff giocano ruoli importanti nella commissione dell’errore.

In “QUADERNI – Italian Journal of Medicine 2019” viene riportato che: “… La sicurezza dei pazienti è uno dei punti critici e pertanto uno degli obiettivi prioritari per tutti i sistemi sanitari e rappresenta uno degli elementi centrali per la promozione e la realizzazione delle politiche di governo clinico. Si stima che, nel mondo, circa 98 mila pazienti muoiano ogni anno in ospedale a causa di errori medici prevenibili.”. Si evidenzia inoltre che la maggior parte degli errori sono conseguenza di processi o condizioni difettose del sistema e tra queste rientra l’eccessivo carico di lavoro degli operatori.

I Servizi Sanitari dei Paesi Industrializzati hanno visto un notevole aumento del carico di lavoro a causa dell’invecchiamento della popolazione  con bisogni di salute sempre più complessi e con molte difficoltà da parte dei servizi territoriali di fornire assistenza e con conseguente aumento della ospedalizzazione, infatti questo dato è rilevabile dalla analisi effettuata dalla King’s Fund inglese che ha evidenziato un aumento del 17% negli accessi al Pronto Soccorso nel periodo di tempo identificato dal 2003/2004 al 2015/2016, un incremento dal 19% al 27% dagli anni 2003/04 al 2015/16 per quanto concerne le ammissioni ospedaliere ed un incremento del tasso di occupazione dei posti letto molto alto, oltre l’80%.

Ciò nonostante, le risorse sono rimaste le medesime degli anni precedenti ai periodi di studio  con il risultato che a parità di risorse l’aumento del numero delle prestazioni ha comportato l’incremento del carico lavorativo degli operatori, con una conseguente deregulation dell’orario di lavoro ed un peggioramento dell’integrità psicofisica degli operatori con evidenti conseguenze sul rischio clinico.

Il sovraccarico di ricoveri in ospedale con un tasso di occupazione dei posti letto che raggiunge la soglia della criticità comporta un’inevitabile conseguenza nei confronti dei pazienti in termini di mancanza della continuità clinico-assistenziale e di riduzione della qualità e sicurezza delle cure.

Nello scenario appena rappresentato è noto che il paziente che non “trova” collocazione all’interno del reparto specifico viene allocato all’interno di un altro reparto, realizzando il c.d. Fenomeno del ricovero in appoggio, condizione conosciuta per essere ad alto rischio clinico.

Un fenomeno presente da almeno 30 anni, ma se associato, al dato sulla contrazione dei posti letto, situazione particolarmente significativa in italia, è facilmente intuibile come porti a tassi di occupazione al di sopra del 100% con veri e propri reparti duplicati in altri a iso-personale e al conseguente turn-over forzato.

Il malato in appoggio giuridicamente parlando appartiene ad un medico che non è fisicamente sempre presente e rintracciabile poiché afferente al altro setting/reparto, mentre gli infermieri a cui appartiene non sempre per tipologia e complessità di assistenza sono in grado di gestirlo.In questo scenario il paziente rischia di diventare la vittima del sistema anziché esserne al centro. Questa condizione si traduce in un sovraccarico di ansia e stress per il Medico e per lo staff infermieristico che si prende cura del paziente, quest’ultimo colpito dalla frammentazione delle cure con ben documentate ripercussioni sugli outcome clinici.

Il mantenimento della salute psicofisica degli operatori sanitari deve essere garantito e protetto dalle organizzazioni sanitarie poiché il venir meno di questo requisito comporta un’ intimo collegamento con l’aumento del rischio clinico per i pazienti.

La Comunità Europea con una propria direttiva, la 88/2003, ha assicurato la protezione minima contro gli orari di lavoro eccessivi e contro il mancato rispetto dei periodi minimi di riposo. Lo Stato Italiano nel 2008 ha legalizzato una deregulation dell’orario di lavoro attraverso l’abrogazione per per i soli dirigenti del SNN del limite massimo di lavoro giornaliero e settimanale e della normativa sui riposi giornalieri e settimanali.

In letteratura troviamo dimostrato che eccessive ore lavorative oltre ad avere importanti ripercussioni sulla salute dell’operatore come: aumentato rischio di puntura accidentale; aumentato rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche; eventi cerebrovascolari e patologie neoplastiche.

Queste ripercussioni possono avere importanti ricadute sulla sfera assistenziale nei confronti del paziente, infatti le eccessive ore lavorative e l’eccessivo carico di lavoro, specie nel periodo notturno, inducono performance cognitive paragonabili a quelle che si hanno con un tasso alcolemico di 0,4%-0,5% . (tratto da: Arnedt JT, Owens J, Crouch M, et al. Neurobehavioral Performance of Residents After Heavy Night Call vs After Alcohol Ingestion.)

In conclusione in un sistema di organizzazione industriale, inteso come un insieme non solo di uomini, ma anche di macchine, dove il fine è quello di “produrre” ed al profitto, l’aumento del carico di lavoro può sicuramente avere indubbi vantaggi. Ma in un ambito lavorativo dove la forza lavoro è fatta solo di persone ed il prodotto “finito” è il paziente, questa programmazione lavorativa comporta solo evidenti criticità.

Concludendo questo breve contributo, e prendendo spunto dal documento “Il Lavoro ai tempi del burn out” possiamo dire che l’eccessivo carico di lavoro degli operatori mette a repentaglio la sicurezza delle cure che, essendo parte costitutiva del diritto alla salute, deve essere sempre perseguita nell’interesse soprattutto dell’individuo e della collettività.

Dott. Leonardo Ontani

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