Il Tar Veneto ha stabilito la legittimità del reclutamento di 500 camici bianchi neo-laureati, approvato con due provvedimenti del 14 agosto 2019.
Avevano scatenato un acceso dibattito, i due provvedimenti, approvati il 14 agosto 2019, con cui la Regione Veneto aveva approvato l’ingaggio in libera professione di 500 medici non specializzati per il Pronto soccorso (380) e la Medicina interna (120). Ebbene, a distanza di quasi quattro anni il Tar Veneto ha stabilito la legittimità del reclutamento, peraltro sdoganato a livello nazionale durante l’emergenza Covid.
A presentare il ricorso erano stati il sindacato Anaao-Assomed del Veneto e, a titolo personale, tre camici bianchi dei reparti interessati. In particolare era stata criticata la scelta organizzativa della Regione di far fronte alla mancanza di specialisti attraverso il reclutamento di neo-laureati e abilitati, prevedendo per loro un ciclo di formazione teorico-pratica di 400 ore in sostituzione del canonico cammino di specializzazione universitaria, equiparando così “un percorso formativo estremamente breve e di scarno contenuto a un percorso istituzionale di ben altro spessore formativo”.
La rassicurazione della Regione Veneto sulla “costante presenza di un tutor” al fianco dei giovani medici era stata poi reputata “irragionevole”, in quanto avrebbe dimostrato che allora non ci sarebbe stata mancanza di specialisti. Inoltre erano stati sollevati dubbi di costituzionalità della legge regionale che aveva recepito il Piano socio-sanitario 2019-2023, su cui si basavano le delibere, tanto che il Tar aveva disposto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Consulta.
Lo scorso anno la Corte aveva però sancito la legittimità della normativa, anche alla luce del Decreto Cura Italia, varato durante la pandemia: “Risulta decisiva la circostanza del mutamento del complessivo quadro della indisponibilità di sanitari specializzati da destinare alle strutture di pronto soccorso; quadro che, infatti, con la normativa statale più recente è addivenuto a consentire il contingente impiego di medici non specializzati”.
Dopo aver riavviato il procedimento, il Tar Veneto ha finito per rilevare che “non pare contraddittorio né irragionevole prevedere che, in carenza di medici specializzati, il supporto offerto” dai neo-laureati “possa concorrere utilmente all’erogazione del servizio sanitario”, aggiungendo che “i dati e la documentazione prodotti dall’amministrazione regionale danno contezza della effettiva sussistenza della situazione di grave sofferenza, situazione, che peraltro è stata evidenziata anche dalla Corte Costituzionale”.
Una carenza “suscettibile di pregiudicare la stessa capacità delle Aziende sanitarie di garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e che aggrava inevitabilmente il carico di lavoro dei medici specializzati presenti ed operanti nei pronto Soccorso”.
Nel merito della soluzione adottata, i giudici hanno inoltre sottolineato che, “in assenza di personale specializzato, il medico abilitato è comunque in grado di contribuire all’erogazione delle prestazioni sanitarie e, in tal modo, allo sgravio del carico di lavoro del medico specializzato”.
Il Tribunale amministrativo considera dunque corretta la decisione della Regione Veneto di consentire “alle singole Aziende Sanitarie, entro ambiti di autonomia individuati in rapporto al grado di competenza richiesto e fermo l’affiancamento ad un tutor, di adottare le concrete scelte organizzative”, così da “far fronte alle esigenze dell’utenza”.
Infine il Tar Veneto ha evidenziato che lo strumento del contratto di lavoro autonomo “non può dare corso all’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato di natura dirigenziale con il Ssr”. La sentenza potrà comunque essere appellata in Consiglio di Stato.
Redazione Nurse Times
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