I numeri sono eloquenti e fotografano l’enorme pressione a cui sono sottoposti i pronto soccorso del Trentino. Un esempio su tutti: nel 2023 gli accessi al reparto di emergenza dell’ospedale Santa Chiara di Trento sono stati 91.474, vale a dire 4.495 in più dei quasi 87mila del 2022, con un incremento del 5%. In pratica, 250 persone al giorno, controm le 238 dell’anno precedente. Ma il dato forse più preoccupante è quello relativo alla gravità dei casi: i codice rossi o arancioni sono il 18% del totale, mentre i codici bianchi (non urgenti) e verdi (urgenza minore) sono il 58%, contro il 56% del 2022.
“Il congestionamento dei pronto soccorso è solo la punta di un iceberg molto complesso”, commenta Daniel Pedrotti, presidente di Opi Trento, sottolineando come il problema degli accessi impropri sia dovuto a due fattori. Da un lato c’è una dimensione culturale su cui si deve lavorare: “Bisogna diffondere la cultura appropriatezza, far capire alle persone che ci si rivolge al pronto soccorso solo quando c’è un problema davvero urgente in termini clinici”. Dall’altro non si può nascondere il fatto che a volte il cittadino con un problema sanitario, anche minimo, non sa a chi rivolgersi: “Come istituzioni, va fatto un lavoro migliore per mettere le persone in condizione di sapere dove trovare risposta ai loro bisogni”.
Per Pedrotti è necessario investire nelle retribuzioni, ma anche nelle competenze del personale: “Questo porta a una fidelizzazione dei lavoratori, fattore essenziale nel contesto attuale”. E poi bisogna investire nella medicina di territorio, su cui Pedrotti presenta tre proposte che potrebbero diminuire gli accessi nei pronto soccorso “anche di oltre il 20%”.
Il primo punto è il potenziamento dell’assistenza territoriale, garantendo alta autonomia alle professioni sanitarie in un lavoro che parte da tre parole chiave: “Prevenzione, prossimità e iniziativa”. In questo senso è “urgente”, secondo Pedrotti, la messa a sistema della figura dell’infermiere di famiglia e comunità, un punto di riferimento per il cittadino, che dovrebbe lavorare in sinergia con i medici di medicina generale.
Il secondo punto, collegato al primo, prevede la possibilità per gli infermieri di prescrivere presidi e ausili sanitari: “Ci sono alcuni ambiti di assistenza, come incontinenza, mobilità e allettamento, dove ad oggi è necessaria la firma del medico di base affinché il paziente ottenga ausili come pannoloni, catetere vescicale e tanto altro. Di fatto già adesso l’infermiere visita il paziente e fa la valutazione, ma poi serve la firma del medico perché possa ottenere gli ausili di cui ha bisogno. Essendo questi già ora ambiti di autonomia infermieristica, sarebbe opportuno dare anche agli infermieri la possibilità di prescrivere questi ausili”.
Il terzo punto riguarda gli ambulatori see and treat: “Strutture da realizzare dentro o vicino ai pronto soccorso, in cui andrebbero a operare medici e infermieri con formazione specifica. Ambulatori dove si potrebbero gestire urgenze minori codificate come abrasioni, piccole ferite e tanto altro, scaricando questa parte di lavoro dai pronto soccorso”.
Queste misure non sono novità assolute. L’infermiere di famiglia e comunità è già stato attivato con successo in Toscana, Piemonte e Friuli, producendo “risultati eccellenti: riduzione del 20% dei codici bianchi al pronto soccorso e del 10% del tasso di ospedalizzazione”.
Anche la prescrizione infermieristica di presidi e ausili sanitari è stata già introdotta in Toscana. L’auspicio di Pedrotti è quindi che il Trentino torni terra di avanguardia e di sperimentazione in campo medico: “Proprio alla politica provinciale facciamo un appello: usiamo l’autonomia, attraverso la quale abbiamo l’opportunità di essere laboratorio di sperimentazione di innovazioni in grado di migliorare il nostro sistema sanitario, mantenendolo efficace e efficiente per rispondere ai bisogni emergenti della popolazione, di distinguerci per buone pratiche e di investire sul capitale umano”.
Redazione Nurse Times
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