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17 scariche con il DAE ed oltre 30 minuti di RCP: così l’infermiere Egidio Giovanni Ape ha salvato la vita di un 50enne

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17 scariche con il DAE ed oltre 30 minuti di RCP: così l’infermiere Egidio Giovanni Ape ha salvato la vita di un 50enne
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Sono state necessarie diciassette scariche elettriche erogate con un defibrillatore automatico esterno ed oltre mezz’ora di rianimazione cardiopolmonare, ma alla fine l’infermiere del 118 di Lecce è riuscito a salvare la vita di un 50enne in arresto cardiaco

Era crollato a terra per un malore, rendendo necessario l’intervento della squadra del 118, che secondo molti si è spinta ben oltre le procedure standard per salvare la vita al paziente.

“Non so nemmeno io perché ho insistito così tanto. Non lo so. È stato un miracolo”, racconta a LeccePrima l’infermiere del 118. Le condizioni del paziente restano comunque critiche, ma ora ha una chance di sopravvivere.

Erano le ore 20 di venerdì sera, quando un uomo di 50 anni, poco dopo essere uscito da una tabaccheria, è crollato al suolo per un malore nel tentativo di raggiungere la sua Alfa Romeo.

Il primo a cercare di aiutarlo è stato Andrea De Filippi, un passante che ha cercato di praticargli il massaggio cardiaco purtroppo senza ottenere risposta.

La vittima, un cardiopatico, si verrà poi a sapere in un secondo momento, non dà segni di vita.

“Stava diventando cianotico”, racconta Andrea a Emilio Faivre di LeccePrima. Aveva “le labbra viola ed era completamente inerme”.

Uno dei presenti contatta il 118 facendo giungere nel giro di pochi minuti un’ambulanza sul posto.“Eravamo già nelle vicinanze quando è arrivata la richiesta dalla centrale operativa”, ricorda Egidio Giovanni Ape, 51 anni, infermiere con esperienza pluridecennale in rianimazione e nel 118.Johnny, come lo chiamano amici e colleghi, ne ha viste di tutti i colori. Eppure, questa volta è stato diverso dal solito. Dopo oltre mezz’ora di rianimazione cardiopolmonare, diciassette scariche di defribillatore, il cuore dell’uomo ha ripreso a battere. Le sue condizioni restano tuttavia molto gravi.

“Non so come ho fatto, è stato un miracolo”

“Non so nemmeno io perché ho insistito così tanto. Non lo so. È stato un miracolo”, racconta l’infermiere a LeccePrima. “In genere proviamo per i canonici venti minuti, o fino a esaurimento delle forze, come da manuale, e poi sospendiamo, dovendo documentare con il tracciato che l’elettrocardiogramma è piatto”. Ma venerdì Johnny ci ha provato fino allo stremo delle forze.

Quando l’ambulanza è arrivata sul posto le condizioni del 50enne erano disperate. “Il primo segno per sapere se c’è morte cerebrale è il riflesso corneale”, spiega l’infermiere con la voce spezzata dall’emozione. “E’ il test di morte cerebrale. Lo facevamo spesso, in rianimazione. Infili il guanto e metti un dito in un occhio per capire se si muovano la palpebra e il bulbo. E gli occhi non si muovevano. “Si è trattata di una mia valutazione personale, che ritengo possa aiutare a comprendere una eventuale assenza di attività cerebrale”.

“Io non so come abbia fatto a riprendere l’attività corneale. Sarà perché l’ho intubato, sarà perché l’ho collegato a un respiratore. Un respiratore nuovo, tra l’altro. Era arrivato in postazione il giorno prima. Fortuna che abbia letto il manuale nel tempo libero. Grazie a Dio non ho avuto difficoltà a usarlo”.

Il racconto dell’infermiere: “Ero convinto che l’avrei ripreso”

Ciò che è successo resta difficile da spiegare, anche per un infermiere esperto che ne ha viste tante.  “Ho avvertito una forma di empatia fra me e il paziente. E ho invocato l’intervento divino. Sicuramente c’è stato, perché io non ho fatto nulla di eccezionale”.

Quell’uomo era morto. Eppure, racconta ancora Johnny, “ero convinto che l’avrei ripreso, nonostante fosse blu già al nostro arrivo. C’era una forza interiore che mi spingeva. E dentro di me ripetevo: ce la deve fare, ce la deve fare”. Così l’intervento si è dilatato ben oltre i canonici 20 minuti. Finché, davanti alla folla dei presenti, è successo qualcosa.

“Quando ho visto che il ritmo è diventato sinusale, ho deciso sospendere per un attimo l’erogazione del massaggio cardiaco e constatarlo di persona. Ho capito in quel momento che poteva esservi stato all’origine un problema di natura cardiologica. E ho anche capito che era il momento di portarlo via. L’abbiamo fatto salire in ambulanza. Lì c’è stata l’ultima scarica, la diciassettesima. Mentre abbiamo continuato il massaggio fino all’arrivo al pronto soccorso”.

“Non mi era mai successo niente di simile”

Il 50enne è stato trasferito al Vito Fazzi dove si trova tutt’ora ricoverato. Le sue condizioni sono in progressivo miglioramento: è in grado di muovere gli occhi e gli arti, inoltre risponde agli stimoli.

“E’ raro arrivare alla diciassettesima scarica di defibrillatore – spiega Johnny -. A me, di sicuro, non era mai successo, né in rianimazione, né in tutti questi anni di 118”.

Simone Gussoni

Fonte: Today

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