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Una finestra sulla professione: il pensiero di Cosimo Cicia (Fnopi)

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Opi Parma, nominata la commissione straordinaria: c’è anche Cosimo Cicia (Opi Salerno)
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Intervista al neo-eletto vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche.

Gli infermieri salernitani, con sentimenti di orgoglio e riscatto, hanno da pochi giorni appreso dell’elezione del dottor Cosimo Cicia a vicepresidente della Fnopi. Questa nomina alimenta la speranza che la professione, soprattutto alle nostre latitudini, riesca a compiere, in uno scatto di orgoglio, quei passi avanti che le assicurino la dignità che merita.

La storia personale del nuovo vicepresidente Fnopi, da decenni al servizio della professione, induce all’ottimismo. Consigliere del Collegio di Salerno dal 1997, attualmente Cicica è presidente dell’Ordine di Salerno. Per 15 anni è stato vice presidente. E’ presidente del Coordinamento interregionale Basilicata-Campania-Molise. Dal 2000 al 2010 è stato assessore a Eboli, quindi vicesindaco dal 2010 al 2015. Infermiere dal 1980, ha conseguito il master in Coordinamento e il master in Integrazione assistenza ospedale territorio. Già direttore dei corsi oss, è componente del Comitato scientifico Asl Salerno e Commissione Prevenzione. Attualmente coordina le Unità operative di Terapia intensiva neonatale, Nido fisiologico e Pediatria. A lui abbiamo rivolto alcune domande.

Dottor Cicia, il mondo infermieristico è in fermento, viene da un anno che non si potrà cancellare. Si è parlato ovunque di infermieri, si è lodata la loro responsabilità e il loro impegno nella lotta al Covid-19. Tutti nel mondo, gli stessi infermieri, si sono resi conto di quanto sia importante il nostro ruolo sociale. Per gli infermieri italiani, addirittura, è arrivata una candidatura al Nobel per la Pace. Quali azioni intende promuovere la “nuova” Fnopi per consolidare questa immagine positiva che ha fatto presa sull’opinione pubblica?

“Siamo consapevoli che la pandemia ha paradossalmente aperto una finestra sulla professione che altrimenti sarebbe rimasta socchiusa, ma non è approfittando di un’emergenza di questo tipo che il nuovo Comitato centrale intende portare avanti la  crescita della professione. Indubbiamente, grazie alla nuova visibilità è stato possibile far materializzare per legge la figura dell’infermiere di famiglia/comunità, finora scritta nel Patto per la salute. Figura che le Regioni hanno anche consolidato con loro linee di indirizzo per renderla omogena su tutto il territorio nazionale. E ancora si è realizzata con la legge di Bilancio 2021 la specificità infermieristica che, al di là dell’importo economico sicuramente insufficiente, si traduce nel primo passo verso quella che da tempo (era già presente nelle richieste della Fnopi al precedente Governo di un anno fa) la Federazione chiede: un’area infermieristica.

Lasciando da parte le celebrazioni – come l’idea del Nobel a infermieri e medici, sicuramente di alto valore emotivo, ma che non risolverebbe le necessità della professione -, ci sono aspetti che devono essere realizzati e portati avanti nei prossimi quattro anni con forza. Infermiere specializzato, infermiere prescrittore, infermiere gestore e coordinatore di percorsi assistenziali soprattutto sul territorio, infermiere aperto al mix professionale per soddisfare i bisogni degli assistiti, infermiere incentivato con nuovi sbocchi di carriera e percorsi premianti: sono gli aspetti che, ad esempio, Fnopi ha sottoposto all’attenzione del Governo in occasione della sua audizione  sul Recovery Plan.

E gli indirizzi per i prossimi anni li ha dati lo stesso programma elettorale della lista poi votata dai presidenti degli ordini, illustrati anche alla stampa e quindi presi come impegno formale per il nuovo mandato: rendere stabile e attuale il concetto di specificità infermieristica e affiancato a questo, quello dell’allentamento dell’esclusività per la nostra professione che non deve essere legato solo all’emergenza, ma deve dare spazio agli infermieri perché possano, con un’organizzazione del lavoro ottimale, operare a tutto campo nell’assistenza dentro e soprattutto, viste le attuali evidenti carenze,  fuori dell’ospedale; realizzare una revisione e sviluppo qualitativo e quantitativo dei programmi dei percorsi di base e post base; valorizzare l’identità professionale con interventi sugli studi per il dimensionamento degli organici di personale infermieristico nel medio periodo; consolidare l’azione politica professionale a tutti i livelli per la prosecuzione dell’impegno nei tavoli istituzionali; rafforzare la rete di collaborazione con le forme di associazione comunitaria quali osservatori e le consulte dei pazienti e dei cittadini e delle associazioni e società scientifiche; sostenere e accompagnare gli Ordini provinciali e le Commissioni di albo infermieri e infermieri pediatrici, nella piena applicazione della Legge 3/2018 e nel ruolo di rappresentanza politico”.

Nonostante la nuova e positiva immagine dell’infermiere, si sono evidenziate contraddizioni recenti. In Veneto (ma potrebbero accodarsi altre regioni) sta nascendo una figura ibrida oss/infermiere che potrebbe abbassare la qualità dell’assistenza erogata: umilia l’infermiere e mette a rischio la salute dell’utenza. Come la Fnopi intende tutelare sia l’utenza che i professionisti infermieri?

“La Fnopi ha già deliberato, proprio nella prima riunione operativa del nuovo Comitato centrale dopo l’insediamento, di dare mandato ai suoi legali, affiancando le azioni del Coordinamento degli Opi della Regione, di impugnare la delibera n. 305/2021 del Veneto, che apre alla possibilità di utilizzare gli operatori sociosanitari (oss) per eseguire atti propri dell’assistenza clinica del paziente di competenza esclusiva di medici e infermieri. Siamo di fronte a una situazione che gli stessi oss hanno criticato perché le associazioni che li rappresentano rifiutano percorsi ‘abbreviati’ e responsabilità che non darebbero altro segnale se non quello di trasformare queste figure in ‘infemierini’, come hanno dichiarato, generando rischi per la scarsa formazione a cui sarebbero sottoposti che correrebbero i pazienti e gli stessi operatori che sarebbero investiti di responsabilità a cui non sono stati formati.

Gli infermieri non contrastano gli oss e la loro crescita professionale. Anzi, li ritengono un supporto importante nell’assistenza ai malati. Ma poche ore di formazione non possono sostituire anni di università né abilitare a prendersi cura nel senso clinico di una persona. Da qui le ragione dell’impugnazione della delibera veneta, che da un lato rappresenta una implicita diminutio per la professionalità infermieristica e dall’altro genera nuovi rischi per i nostri assistiti che in questo momento, siano essi Covid o non Covid, è del tutto fuori luogo fargli correre. Siamo pronti a interagire con le Regioni, le altre istituzioni e le associazioni che rappresentano gli oss per disegnare insieme percorsi per migliorare il loro intervento e la loro professionalità. Ma non può essere una legge o una scelta dettata da ragione di opportunità che nulla hanno a che fare con la salute dei pazienti e la qualità dei servizi a decidere scorciatoie che derogano ad anni di formazione e a norme sulla responsabilità sanitaria rispetto agli assistiti”.

Non si parla più delle “competenze avanzate”, che invece gli infermieri continuano a svolgere nei luoghi di lavoro. E’ ancora lungo il percorso affinché queste competenze siano riconosciute e retribuite? La Fnopi spingerà per ridurre i tempi?

“Non è del tutto esatto. E’ giusto che ancora non si è definito un percorso per riconoscere in modo tangibile, professionalmente ed economicamente, questo tipo di competenze, ma come accennavo prima la Federazione ha messo sul piatto con il Governo e le Regioni la necessità di giungere iin fretta a definire specializzazioni e relative infungibilità per gli infermieri.
Concretizzare ancora più operativamente le specializzazioni infermieristiche grazie alla crescita della formazione, già radicate nel resto d’Europa, rappresenta una delle strade imprescindibili della formazione professionale e di tutto il sistema sanitario. La specializzazione significa distribuire le prestazioni nelle reti e micro-reti territoriali garantendo la migliore allocazione delle risorse nel quadro di un percorso univoco, individuando la figura professionale più corretta in funzione di ogni step del percorso-paziente e permettendo di concentrare in ospedale solo le prestazioni a più alta complessità e specialità. La Fnopi sta già spingendo per ridurre i tempi, ma in questa azione è necessario agire su più fronti: Governo e Parlamento perché disegnino la norma, ministeri della Salute e dell’Università, ciascuno per le proprie competenze, Regioni per quanto riguarda l’organizzazione dei servizi e delle nuove competenze che potranno emergere. E su tutto questo ci stiamo già muovendo”.

L’annosa carenza di organici, dovuta a scelte scellerate di una politica che ha spesso badato più ai bilanci che alla salute dei cittadini e che adesso, in questa pandemia, stiamo pagando a caro prezzo, ha spesso determinato una carenza di personale di supporto agli infermieri nelle corsie ospedaliere. Il senso di responsabilità degli infermieri ha favorito una situazione di strisciante demansionamento, incentivato dalle aziende e accettata troppo passivamente dagli infermieri. Recenti sentenze hanno mortificato le richieste di risarcimento intentate da alcuni infermieri  (nello specifico a Salerno, del cui Opi lei è presidente). La Fnopi come si pone nella lotta al demansionamento, che umilia e trattiene verso il basso la professione?

“L’attuale quadro normativo della Professione è assolutamente chiaro nel descrivere il profilo di responsabilità richiesto all’infermiere. È tuttavia evidente che nella prassi quotidiana non sempre il professionista risponde al suo mandato prioritario o è messo in condizioni di farlo, ovvero essere il responsabile dell’assistenza infermieristica. Tale responsabilità si esplica non solo attraverso la pianificazione dei percorsi degli assistiti, non solo nel definire interventi ed esiti a fronte di un problema, ma anche nel processo di attribuzione al personale di supporto.

L’utilizzo improprio di figure professionali, sia del tempo/lavoro di questi, sia delle competenze specifiche del professionista, si profila spesso come un effettivo demansionamento, che merita tutto l’interesse della comunità professionale per capire, con una analisi coraggiosa e intellettualmente onesta, come e dove intervenire. È necessario però fare chiarezza e mettere in evidenza la distorsione che si opera quando l’attenzione è centrata sulla prestazione, anziché sulla certificazione di un problema e sulla responsabilità degli esiti, che rendono quell’intervento di pertinenza di un professionista specifico.

Il demansionamento è un fenomeno da analizzare internamente alle singole organizzazioni data l’enorme varianza di modelli organizzativi, gestionali e assistenziali, che esistono in ogni singola Azienda. Più che un livello centrale devono essere gli Opi provinciali o le OOSS locali, a intervenire nelle tutele professionali e sindacali. Su questo ambito la Fnopi si impegna a inserire la tematica nell’ambito dei suoi osservatori specifici su lavoro e occupazione.

Devono essere considerati come campanelli d’allarme da non ignorare e su cui intervenire: le Strutture a bassa intensità sprovviste di personale di supporto; i setting in cui si producono piani di lavoro rigidi e troppo specifici su attività professionali; i modelli funzionali e per compiti; le sostituzioni di personale tra qualifiche e ruoli diversi per soddisfare criteri quantitativi di presenza e non qualitativi, in quanto manca una chiara definizione dello skill mix individuata a fronte di altrettanto chiari obiettivi professionali.

Su questo la Federazione lancia un chiaro appello e monito a tutti i colleghi che hanno la responsabilità di intercettare ed arginare il fenomeno.
Il percorso che la Fnopi intende avviare passa quindi, per prima cosa, attraverso l’interlocuzione negli osservatori e gruppi di lavoro perché ognuno contribuisca ad analizzare per il proprio livello di ruolo e responsabilità il fenomeno, per proseguire presso gli Opi e attraverso loro negli atenei e nelle aziende. Il primo passo deve essere quello di sdoganare il demansionamento come una problematica che appartiene solo ad alcune correnti di pensiero e che negli anni è diventato un elemento di contrapposizione interno alla professione.

Il fenomeno appartiene a tutti noi, va affrontato tutti insieme a partire da un movimento di libero confronto e dibattito culturale, non banalizzandolo ma studiandolo nella complessità che lo caratterizza. Per questo la Fnopi – e, per la Federazione, il Comitato centrale – si è impegnata fin dal 2018 (purtroppo con lo stop legato alla pandemia) a considerare il demansionamento come un tema costante nella sua agenda di confronto, analisi e proposte su più livelli anche per individuare forme concrete di intervento”. 

Il demansionamento potrebbe avere le sue radici anche nell’anacronismo dei programmi universitari, che insegnano mansioni che non appartengono più alla professione da decenni. Una buona formazione contribuisce a costruire un professionista capace e stimato. Qual è, se c’è, la proposta Fnopi per la modifica e il miglioramento del percorso formativo degli infermieri?

“La formazione è un capitolo essenziale della nostra professione e sia nel Codice deontologico che attraverso la rete dei referenti Ecm, realizzata proprio a questo scopo, c’è l’obiettivo di mantenere e sviluppare conoscenze e competenze: una necessità oggi per ogni professionista della salute, per garantire ai cittadini assistiti la tutela della salute, assicurando l’efficacia e l’appropriatezza delle cure erogate e per avere coscienza del suo ruolo e delle sue capacità e anche delle competenze che possono essergli richieste.
I limiti derivanti da modelli organizzativi obsoleti e inappropriati e la carenza di personale non devono ridurre l’impegno e il valore dell’aggiornamento sfociando anche semmai nel demansionamento, ma, anzi, sono proprio la carenza di professionisti e le conseguenze che ne derivano che impongono, prima di tutto, di garantire elevati e significativi livelli di qualità della formazione.

La Fnopi, in questo, senso ritiene di attribuire alcune caratteristiche fondanti della formazione:

  • massima espressione del valore fondamentale della tutela della salute dei cittadini attraverso il potenziamento e la valorizzazione dei fattori di sviluppo del capitale umano in sanità;
  • strumento-cardine del management delle aziende sanitarie e della sicurezza delle cure;
  • processo di aggiornamento permanente di alto livello in ambito sanitario in cui si realizza il mantenimento e lo sviluppo delle competenze e abilità professionali per rispondere in maniera sempre più appropriata al continuo modificarsi del contesto demografico, epidemiologico, dei bisogni di salute, del progresso scientifico e tecnologico;
  • sistema Ecm sempre più “mezzo” e non “fine” integrato e solidale tra il livello nazionale, regionale e provinciale basato su regole comuni e condivise e su principi di efficacia, trasparenza, e indipendenza da interessi commerciali;
  • diritto/dovere di curare la propria formazione e le proprie competenze professionali nell’interesse della salute individuale e collettiva dei cittadini;
  • sviluppo del proprio percorso professionale – grazie alla formazione -, un fattore strategico e insostituibile per essere al passo con una sanità in continua evoluzione ed elemento fondamentale per avvicinare sempre di più il professionista infermiere alla persona assistita;
  • principale strategia e strumento per il governo del rischio clinico e della responsabilità professionale;
  • sistema dove Il professionista sia veramente il principale protagonista della costruzione e realizzazione del proprio percorso formativo successivo alla formazione di base: un long life learning da sviluppare tutta la vita professionale, rendendo evidente, prima di tutto, una maggiore consapevolezza nell’ottica della responsabilità condivisa e tra professionista e organizzazione;
  • requisito indispensabile per svolgere attività professionale in qualità di dipendente o libero professionista e che spetta agli Ordini, oggi organi sussidiari dello Stato, di vigilare sull’adempimento da parte degli iscritti.

La Federazione è impegnata ogni giorno nello sviluppo virtuoso della professione infermieristica, promuovendo, tra le varie iniziative, percorsi che garantiscano all’infermiere l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze, via via sempre più in linea con l’evoluzione del Sistema sanitario nazionale e con le esigenze reali dei cittadini”.

Qual è il giudizio della Fnopi sull’obbligo vaccinale imposto dal recente Decreto Covid al personale sanitario? Saranno erogate sanzioni disciplinari agli infermieri che si sottrarranno alla vaccinazione?

“Prima di tutto la vaccinazione è un dovere deontologico e morale degli infermieri che si sono impegnati nella loro professione a non nuocere mai e in nessun modo ai pazienti che assistono. Senza vaccinazione è ovvio, il rischio cresce. Ed è per questo che è stata messa a punto la norma del Decreto legge 44 che non configura un obbligo, ma evita la diffusione di ulteriori contagi proprio da parte dei professionisti di cui le persone si fidano di più.

Non voglio pensare a eventuali infermieri no vax, perché un simile atteggiamento è contrario prima di tutto al Codice deontologico, ma anche ai principi stessi della professione. E se si dovessero manifestare dovranno necessariamente rendere conto agli ordini di appartenenza, ai quali la Federazione darà tutto il supporto necessario per operare con il massimo rigore, dell’atteggiamento che oltre a creare confusione nei cittadini, altera l’immagine della professione infermieristica facendo supporre che gli infermieri non sono una categoria assolutamente responsabile in questo senso.

Per quanto riguarda l’essere vaccinati, la professione infermieristica, come le altre professioni intellettuali nel campo sanitario, aderisce ai principi dell’etica professionale che guida scienza e coscienza degli infermieri in scelte che rispondono al principio inderogabile di tutela della salute delle persone. Riconosce il valore delle evidenze scientifiche come base del suo agire professionale e come garanzia per gli assistiti del massimo sforzo dei professionisti che si curano di loro e della massima sicurezza del rapporto con gli infermieri.

Nella sicurezza delle cure l’infermiere riveste un ruolo fondamentale in quanto corollario fondamentale della responsabilità assistenziale e dell’autonomia, positivamente riconosciute dall’ordinamento giuridico.
L’infermiere è consapevole del proprio ruolo, e la tutela dell’assistito da assicurare con professionalità e una formazione adeguata è un’attività imprescindibile, parte integrante e fondamentale per l’erogazione in sicurezza delle cure e dell’assistenza alla persona, essenziale per adempiere alla mission dell’infermiere, in linea con la ratio della Legge n. 24/2017 e dei principi posti alla base del governo del rischio clinico.

La Federazione – firmataria anche della Carta di Pisa sulle vaccinazioni negli operatori sanitari per riconoscere il valore della vaccinazione soprattutto tra i professionisti – sottolinea la necessità che il suo ruolo, per ottenere i migliori risultati, tenda, in termini di empowerment dei Cittadini, a comunicare in modo intenzionale con l’assistito e agevolarne così la scelta vaccinale. In questo senso saranno gli ordini a decidere in base all’entità e alle motivazioni della eventuale, mancata vaccinazione. Anche perché c’è un’altra eventualità da tenere presente: una situazione di grave disagio riguarda in questo senso i colleghi infermieri liberi professionisti di molte Regioni e quelli dipendenti da strutture sanitarie private non convenzionate.

A oggi centinaia di loro sono ancora in attesa di vaccinazione e non per scelta o per rifiuto, ma per mancanza di opportunità perché non rientrerebbero tra le priorità vaccinali. A questi gli Ordini non si rivolgono certo con procedimenti disciplinari e/o convocazioni per capire l’entità del rifiuto, ma stanno dando tutto il supporto necessario, interloquendo con le Regioni perché prevedano, come da richiesta degli stessi professionisti, la copertura vaccinale anche per loro, che sono in prima linea dall’inizio della pandemia non solo in strutture private, ma anche sul territorio nelle Rsa e perfino a domicilio”.

Massimo Arundine

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