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Tumori, promette bene il vaccino firmato dall’italiano Roberto Chiarle

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Tumori, promette bene il vaccino firmato dall’italiano Roberto Chiarle
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Il professore è alla guida di due equipe (una a Harvard, l’altra a Torino), che collaborano per mettere kappaò alcune forme di cancro.

In laboratorio i topolini sono guariti, racconta Roberto Chiarle (foto). Il successo è evidente, clamoroso. E quindi si avvicina il momento di sperimentare la stessa cura sugli esseri umani. L’organismo dei roditori si è sbarazzato di alcune forme di cancro e Chiarle, professore con la doppia affiliazione a Harvard e a Torino, accelera le ricerche. «Tra un anno – racconta – prevediamo di iniziare i primi trial clinici».

Lui si muove alla frontiera della medicina di precisione, là dove diagnosi e cure sono mirate sull’individuo, e quindi promettono un’efficacia finora impensabile. I meccanismi che studia puntano a mettere kappaò alcuni tumori che oggi non danno scampo: carcinomi al polmone, tumori del sangue e altri che aggrediscono i bambini, come i neuroblastomi. «La nostra idea è stata unire due diverse branche terapeutiche: le molecole che inibiscono gli oncogeni e l’immunoterapia», spiega.

Si tratta di prospettive entrambe d’avanguardia. La prima, per spegnere i geni che spingono una cellula ad alterarsi e a diventare tumorale. La seconda, al contrario, per accendere altre cellule, quelle del sistema immunitario, e spingerle ad aggredire il tumore stesso. La sfida, appunto, è combinarle, e non è un caso che in questo lavoro di connessioni l’impresa abbia stabilito uno stretto legame anche tra i cervelli delle università di Harvard e Torino e i rispettivi laboratori che Chiarle guida, da una parte e dall’altra dell’Atlantico.

Un record, che il professore sottolinea con orgoglio. I finanziamenti, infatti, arrivano sia dall’Europa sia dagli Usa, realizzando un network tutt’altro che frequente: «Con gli Erc dell’Ue e con i fondi dei National Institutes of Health americani». Alla base dell’avventura nel Dna c’è un oncogene battezzato Alk: «Abbiamo scoperto che può essere inibito, e infatti i cinque farmaci approvati negli Usa e in Europa che agiscono proprio su Alk riescono a ridurre la crescita tumorale. Di più. Si sono rivelati così efficaci da far regredire il tumore e, in alcuni casi, da farlo quasi scomparire, come accade con il linfoma».

Ma il problema è il «quasi». Quando gli inibitori vengono sospesi, oppure il tumore riappare in modo spontaneo e in forme così aggressive e veloci da risultare fatali. «Il motivo – sottolinea Chiarle – è che resta quella che chiamiamo l’ultima, maledetta radice. Come una pianta infestante, il tumore dissemina nell’organismo cellule che sopravvivono a ogni tipo di terapia, quelle che in gergo definiamo “persistenti” o “dormienti”». Sono loro a stare in agguato e, quando si interrompono le sequenze dei superfarmaci, tornano all’attacco.

E allora, per scongiurare la recidiva, Chiarle e i suoi team (12 ricercatori a Boston e 6 a Torino) hanno pensato di istruire i linfociti del sistema immunitario a riconoscere quelle poche e “cattive” cellule e a eliminarle: «Il sistema immunitario, si sa, è potente, ma non onnipotente. È quindi importante che possa condurre questa battaglia alla pari, quando i farmaci inibitori hanno già fatto la prima parte dell’opera e il tumore si è drasticamente ridotto».

La missione finale consiste perciò nell’andare a caccia delle “radici”, ricorrendo a due armi: «Una è il vaccino. L’abbiamo creato con i bioingegneri del Massachusetts Institute of Technology di Boston e, iniettato nei topi, ha rivelato di essere potente e di funzionare: il sistema immunitario riconosce Alk come proteina anomala e individua le cellule dormienti». L’altra arma, invece, è costituita dalle cellule Car-T. «Acronimo di Chimeric antigen receptor T-cell, si tratta di cellule del sistema immunitario ingegnerizzate in modo da esprimere un recettore che riconosca Alk. E anche stavolta è stato un successo».

Il vaccino è l’arma “smart” contro il carcinoma al polmone, mentre le Car-T sono l’altra arma “smart”, stavolta contro il neuroblastoma. Motivo della differenza è il “luogo” di Alk: se si annida all’interno o sulla superfide delle cellule. Tra l’indagine sull’oncogene e la realizzazione degli strumenti con cui neutralizzarlo si estende il territorio di un paziente lavoro multidisciplinare. Iniziate nel 2008, le ricerche sono approdate a un traguardo fondamentale. E così ci si prepara al salto decisivo. «Entro un anno – aggiunge Chiarle – puntiamo a sperimentare il vaccino sull’uomo, ed entro due a far partire i test con le Car-T».

Si è alle porte della fase più emozionante: salvare vite umane. Ed è per questo che l’Associazione Ghirotti, di cui Chiarle è socio, punta a rafforzare il team torinese e a raccogliere ulteriori fondi. «Io – conclude il professore – credo moltissimo nel ponte tra Torino e Harvard. E infatti uno dei progetti che hanno contribuito ai nostri studi è americano e si chiama Bridge Project: unisce laboratori sulle due sponde di Boston, di qua e di là del Charles River».

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

 

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