Ne parla il neurochirurgo Christian Brogna, intervistato sul tema dall’agenzia Dire.
Piccoli problemi di memoria, disorientamento, difficoltà a trovare le parole, cefalea persistente che peggiora nel tempo oppure manifestazioni più eclatanti come veri e propri disturbi del linguaggio, del campo visivo, della forza nelle gambe o nelle braccia, o fenomeni epilettici.
“Sono sintomi generici ma a cui è importante prestare attenzione perché potrebbero essere spia di un tumore cerebrale. Ma un tumore al cervello può anche essere scoperto accidentalmente, ad esempio mentre si fa una TAC per un trauma cranico. Si tratta comunque di tumori abbastanza rari- rassicura il medico- rappresentano, infatti, l’1,6% delle diagnosi di cancro”, spiega Christian Brogna, esperto internazionale nella chirurgia avanzata dei tumori cerebrali e del midollo spinale, intervistato dall’agenzia Dire.
“Ma sono patologie che quando vengono diagnosticate creano timore nel paziente e nei suoi familiari – continua il neurochirurgo -, perché si tratta di tumori che hanno a che fare con il nostro stesso essere: il cervello siamo noi, è ciò che ci fa relazionare alla vita. Per questo è importantissimo fare dei distinguo: ci sono tumori benigni, tumori che malgrado abbiano una biologia benigna creano deficit neurologici invalidanti a causa del punto in cui sono localizzati, e poi ci sono i tumori maligni ma anche tra questi vanno fatte le dovute differenze. Ecco perché è fondamentale che il neurochirurgo abbia un’expertise specifica, che sappia affrontare la loro complessità gestionale e non tratti allo stesso modo patologie che sono completamente diverse. La strategia d’intervento va raffinata in base a ogni singolo caso”.
L’approccio personalizzato al paziente è il leit motiv di Brogna, che tra i suoi ultimi interventi annovera quello eseguito a metà ottobre, al Paidea International Hospital di Roma, su un ragazzo di 35 anni operato per un tumore cerebrale da sveglio mentre suona il sassofono. “Di tumori cerebrali se ne contano in tutto più di 100 tipi e ognuno di loro può avere un comportamento diverso e presentarsi in età diverse – continua Brogna -. Ad esempio tra i gliomi cerebrali, i tumori primari più frequenti, i gliomi cerebrali di basso grado si riscontrano soprattutto nei giovani tra 20 e 40 anni in piena attività di studio o lavorativa e sono tumori il cui primo sintomo, spesso, è una crisi epilettica”.
Oltre a questi tra i tumori primari del cervello ci sono i meningiomi, che originano dalle meningi e che creano compressione sul cervello stesso. Discorso a parte sono poi le metastasi cerebrali, “ossia tumori presenti nell’organismo e che metastatizzano al cervello”, spiega Brogna.
“Anche la localizzazione del tumore all’interno del cervello determina un punto fondamentale nel differenziare i tumori – precisa l’esperto -. Uno stesso tipo di tumore localizzato in aree diverse può, infatti, fare la differenza sia nel comportamento clinico della patologia, sia nella prognosi è quindi nella sopravvivenza. Dunque i tumori cerebrali sono una patologia ad elevata complessità sulla quale è difficile fare delle categorizzazioni. Per questo sono importanti l’approccio personalizzato al paziente e il rispetto della sua unicità”.
E oggi è proprio questo l’orizzonte verso cui si guarda: “L’aver aumentato le conoscenze sul funzionamento cerebrale ci consente di operare i pazienti con una sicurezza maggiore, rispettandone sempre desideri, personalità, funzioni Il vero cambiamento di paradigma, oggi, è che l’atto chirurgico da un lato è iper personalizzato perché tiene conto delle caratteristiche cerebrali e individuali di ogni singolo paziente, dall’altro è una fonte di attrazione di tutte le conoscenze che si sviluppano sia a livello di ricerca di base, sia di ricerca farmacologica, sia di neuroimaging”
E ancora: “In questo momento abbiamo la capacità di predire sempre di più i benefici dei nostri atti chirurgici sul paziente, proprio perché abbiamo la capacità di avere sempre più informazioni in fase pre-operatoria e intraoperatoria, questo grazie anche al mappaggio intraoperatorio del cervello e ad alcune modalità specifiche di risonanza magnetica come la trattografia, che permette di visualizzare fasci di fibre nervose all’interno del cervello. La spettroscopia consente di sapere, all’interno di una piccola porzione del cervello, quali sostanze chimiche sono più o meno rappresentate e quindi darci l’idea dell’infiltrazione del tumore in una certa regione cerebrale. Poi c’è la perfusione, che ci consente di avere informazioni sull’aggressività del tumore. E ancora la risonanza magnetica funzionale, che permette di visualizzare quale delle regioni cerebrali del paziente si attivano durante l’esecuzione di un certo task come per esempio parlare o muovere la mano. Sono tutti strumenti che insieme all’esame neurocognitivo ci consentono di raccogliere quante più informazioni possibili sull’unicità di quel singolo paziente”.
Continua il neurochirurgo: “Io dico sempre che non ho mai eseguito un intervento copia del precedente e questa è proprio la direzione verso cui si sta andando: ogni operazione è sempre diversa, e che sia tale è necessario. La prospettiva è quella di avere sempre più attenzione al rispetto della qualità di vita del paziente e fare in modo che una diagnosi di tumore cerebrale non rappresenti obbligatoriamente una fonte di paura. Grazie anche a un approccio empatico del medico è importante far passare il messaggio che i tumori al cervello possono essere affrontati in sicurezza”.
Conclude Brogna: “La medicina evolve e anche le possibilità di cura e guarigione. Prima, ad esempio, si pensava che un paziente con metastasi cerebrali non avesse speranza, oggi invece sappiamo che la presenza della metastasi cerebrale non è dirimente da un punto di vista di prognosi se può essere trattata o con chirurgia o radiochirurgia. La prognosi globale, infatti, dipende da quello che succede nel resto dell’organismo. Inoltre è importante che il medico faccia capire al paziente che essere operati al cervello non significa vivere necessariamente il resto della propria vita con un deficit, il cervello ha una sua neuroplasticità, in tutte le fasi della vita, e quindi quando una persona è opportunamente trattata nella maggior parte dei casi può continuare a vivere come se non fosse accaduto nulla. Non è una persona che avrà necessariamente un problema per tutta la vita, è importante evitare questo stigma”.
Redazione Nurse Times
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