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Trapianto di fegato da donatore a cuore non battente: prima volta al Policlinico Gemelli

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Trapianto di fegato da donatore a cuore non battente: prima volta al Policlinico Gemelli
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Le complesse procedure per questo tipo di trapianto hanno richiesto la collaborazione di un’equipe allargata.

Nella notte tra sabato 29 e domenica 30 aprile trapianto di fegato da donatore a cuore non battente (DCD) è stato eseguito al Policlinico Universitario Agostino Gemelli. È la prima volta per il Policlinico romano, la seconda volta che questo accade nel Lazio. Il ricevente è un paziente di 70 anni affetto da cirrosi epatica con epatocarcinoma. Il donatore, un paziente di 56 anni.

“Questa tipologia di donazione – spiega il professor Salvatore Agnes (foto), ordinario di Chirurgia generale, direttore dell’Unità operativa complessa di Chirurgia generale e dei trapianti d’organo, direttore del Centro Trapianti di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs –, ancora molto poco diffusa in Italia (rappresenta il 5% circa dei prelievi d’organo), potrebbe aumentare in maniera importante il numero dei potenziali donatori per le 8 mila persone in lista trapianto d’organo nel nostro Paese. Ma si tratta di una procedura più complessa dal punto di vista organizzativo, rispetto alla classica donazione da paziente a cuore battente (in ‘morte cerebrale’). Per questo sono ancora molto pochi al momento gli ospedali italiani, quasi tutti al Nord, in grado di effettuarla”.

Nel caso del donatore a cuore battente, anche se il soggetto è deceduto (come dimostra l’accertamento della morte cerebrale), il cuore e i polmoni continuano a far circolare sangue ossigenato a tutti gli organi, che sono dunque vitali. Nel donatore a cuore fermo invece, la morte avviene per arresto cardiaco e, a seguito di questo evento, il potenziale donatore viene sottoposto ancora per 20 minuti a monitoraggio dell’elettrocardiogramma (o tanatogramma, come prevede la legge per la constatazione della ‘morte cardiaca’).

“Al termine di questi venti minuti – prosegue il professor Agnes –  viene posizionato un macchinario che consente di far ricircolare sangue ossigenato negli organi interessati alla donazione. Successivamente si procede al prelievo e al trattamento dei singoli organi all’interno di una macchina di perfusione.

Sempre Agnes: “L’elemento di complessità aggiuntiva legato alla donazione a cuore non battente deriva dal fatto che gli organi non sono più perfusi da sangue ossigenato. Per questo è necessario procedere con l’ECMO (una pompa ossigenatrice, simile a quelle che si usano nella circolazione extracorporea degli interventi cardiochirurgici) per due-tre ore e, dopo il prelievo degli organi, ad una sorta di trattamento di rivitalizzazione aggiuntivo, che consiste nel porre gli organi nelle macchine di perfusione, dove l’organo viene conservato a freddo con un continuo lavaggio”.

E ancora: “Durante la fase dell’ECMO, si studia la funzionalità del fegato con alcuni parametri biochimici, per valutare se l’organo stia subendo un danno importante. Se è tutto a posto, si passa al prelievo degli organi; il fegato viene valutato macroscopicamente e in genere si effettua una biopsia. Fatti questi ulteriori accertamenti, si parte con il trapianto vero e proprio”.

Le procedure messe in moto per questo tipo di trapianto sono dunque molto più complesse e richiedono la collaborazione di un’equipe allargata, comprendente oltre ai chirurghi trapiantatori, l’unità di donazione degli organi (che identifica i possibili donatori nelle varie terapie intensive dell’ospedale e che mette in atto tutte le procedure, interfacciandosi con il Centro Trapianti della Regione Lazio) i rianimatori intensivisti delle varie unità, gli anestesisti, i tecnici della perfusione extracorporea, la radiologia, l’anatomia patologia, la biochimica.

“Mi fa piacere sottolineare – afferma il professor Massimo Antonelli, direttore del Dipartimento di Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione del Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs, ordinario di Anestesiologia e rianimazione all’Università Cattolica – come il Dipartimento di Anestesiologia e rianimazione e dell’emergenza abbia incisivamente agito in tutte le fasi: dal trattamento e mantenimento del donatore a opera dei colleghi della Terapia intensiva neurochirurgica e del dottor Ciro D’Alò, che ha coordinato le fasi preparatorie e il rapporto con la famiglia, ai colleghi della Rianimazione che hanno approntato il complesso posizionamento del REBOA (Resuscitative Endovascular Balloon Occlusion of the Aorta) e della circolazione extracorporea (ECLS/ECMO, Extracorporeal Life Support/Extracorporeal Membrane Oxygenation), ai colleghi anestesisti che hanno gestito le fasi intraoperatorie del trapianto con la grande esperienza che li caratterizza. Ancora una volta emerge che solo grazie ad una collaborazione e alla motivazione di una bella squadra di specialisti si possono raggiungere importanti risultati”.

Gli organi che possono essere prelevati da donatore DCD sono principalmente fegato e reni. La procedura del trapianto da DCD si è sviluppata negli ultimi anni negli Usa, in Europa e nel Nord Italia. Nel Centro-Sud Italia è stata finora utilizzata raramente e in maniera sporadica. Per il Lazio, questo è il secondo trapianto da DCD.

“L’intervento appena realizzato – conclude il professor Agnes – ci consente quindi di chiudere il gap con i grandi centri trapianti del Nord e propone il Gemelli come uno dei punti di riferimento per questo tipo di trapianti per tutto il Centro-Sud d’Italia”.

Redazione Nurse Times

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