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Suicidio ed infermieri: non siete soli, parliamone!

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Suicidio ed infermieri: non siete soli, parliamone!
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In Italia ogni 100.000 abitanti, dai 3.000 ai 5.900 individui ricorrono al suicidio

Questo dato numerico “nudo e crudo” riguarda tutta la popolazione italiana nel suo insieme, poco si sa, invece, sul tasso di suicidi tra gli operatori sanitari e questo fa sì che questo rappresenti il primo ostacolo alla prevenzione degli stessi.

Un altro ostacolo è rappresentato dal fatto che non si parla abbastanza di questa problematica tra i colleghi, e anche quando si sa che vi sono dei colleghi che hanno manifestato o manifestano sintomi depressivi, non si attivano misure preventive adeguate.

Credo, che ognuno di noi possa dire di aver conosciuto un collega che ha deciso di suicidarsi.

La depressione è una malattia trattabile. Parliamone. Non limitiamoci a farlo solo quando una persona famosa decide di porre fine alla sua vita. Il fenomeno è trasversale e colpisce indistintamente a prescindere dalla professione, dal censo, dal genere o dall’appartenenza etnica. La professione infermieristica non fa quindi alcuna eccezione.

Sfortunatamente il suicidio infermieristico è un fenomeno nascosto e non è stato adeguatamente studiato, soprattutto nel nostro Paese. Parlarne, discutere delle cause e di come possiamo contribuire a prevenirlo può essere utile a tutti quegli infermieri che pensano di non avere altre alternative. Non siete da soli. Parlatene.

Gli infermieri sono i più a rischio di suicidio rispetto a qualsiasi altro professionista della salute: le donne che lavorano in sanità hanno il 23% in più di probabilità di suicidarsi rispetto a qualsiasi altro professionista. E’ quello che emerge da un report pubblicato in Inghilterra nel 2017, dall’Office for National Statistics. Tra il 2011 e il 2015 ci sono stati 18.998 suicidi in Inghilterra e Galles, tra le persone di età compresa tra i 20 ei 64 anni.

Il rapporto afferma anche che negli anni ’90 sono stati registrati alti tassi di suicidi tra medici e dentisti maschi, ma che ora i medici maschi hanno un rischio di suicidio inferiore del 16% rispetto alla media degli uomini in generale, questo perché nel corso degli anni si sono poste in essere una serie di interventi volti alla prevenzione degli stessi.

La maggior parte dei suicidi tra gli infermieri sono stati dovuti ad avvelenamento, ed è facilmente intuibile il perché, vista la conoscenza dei farmaci e la possibilità di reperirli nell’ambito lavorativo (VEDI).

Complessivamente, i più bassi tassi di suicidio sono stati quelli in occupazioni altamente qualificate, come ad esempio dirigenti, amministratori delegati e alti funzionari. Vale la pena notare, tuttavia, che identificare il rischio professionale per il suicidio è difficile, data la complessità della relazione esistente.

Un alto tasso di suicidi, inoltre, secondo questo Report si ha anche in altri ambiti, soprattutto in quelli creativi e nei media.

Un altro rapporto, statunitense stavolta, anche se un po’ datato, risale difatti al 1990, ha mostrato come la probabilità di suicidarsi tra gli infermieri era di 1,58 volte maggiore rispetto alla popolazione generale.

Per affrontare la tematica del suicidio infermieristico, dobbiamo fare di più, iniziando con l’aumentare la nostra conoscenza e consapevolezza del fenomeno all’interno della professione, compresi i costi che ne derivano per la società, i fattori di rischio, la prevenzione e gli ostacoli alla cura.

Per quanto riguarda i costi, oltre a quelli emotivi per familiari ed amici, vanno aggiunti quelli per la società. Come riporta il Dott. Shepard e colleghi, negli Stati Uniti nel 2013 il costo dei suicidi è stato di 58,4 bilioni di dollari.

E sebbene vi sia una carenza di dati certi sui suicidi in ambito infermieristico, è stato possibile calcolare che il costo per sostituire il collega che ha deciso di suicidarsi, si aggira tra i 38.000 $ e i 61.000 $, secondo i dati del 2018 del National Health Care Retention & Staffing Report. Il costo è ancora più alto per i professionisti che lavorano in contesti iperspecialistici.

Inoltre, dobbiamo fornire assistenza a tutti i livelli con strumenti proattivi di educazione e controllo del rischio (altre professioni, tra cui i medici come già detto, hanno sviluppato protocolli e toolkit specifici per la loro forza lavoro). Individui, responsabili politici, organizzazioni professionali e leader dei sistemi sanitari (in particolare dirigenti infermieristici ed educatori) sono potenziali stakeholder per promuovere la consapevolezza del suicidio infermieristico e l’implementazione di programmi per la sua prevenzione.

Una migliore comprensione degli eventi stressogeni e delle loro interazioni e dell’impatto sui professionisti è fondamentale per migliorare e mantenere la salute mentale. L’attenzione individuale e istituzionale agli agenti stressogeni infermieristici in particolare (carico di lavoro, lunghe ore, violenza, bullismo, mancanza di personale, mancanza di risorse e pazienti insoddisfatti) può migliorare l’impegno dei dipendenti in generale e il benessere degli infermieri.

Per quanto riguarda i fattori di rischio, quello che sappiamo è che i fattori che contribuiscono al suicidio infermieristico sono numerosi e allarmanti.

Uno studio di Davidson e colleghi ha scoperto che i fattori di rischio collettivi che portano al suicidio includono depressione, conoscenza sul come usare una dose letale di farmaci e sostanze tossiche, stress personale e lavorativo, fumo, abuso di sostanze e depressione.

Un recente programma di miglioramento della qualità presso l’Università della California, a San Diego, ha rilevato che gli agenti stressogeni sul luogo di lavoro presenti negli infermieri ad alto rischio di suicidio, includono sentimenti di inadeguatezza, mancanza di preparazione per il ruolo, violenza e trasferimento in un nuovo ambiente lavorativo.

Comprendere i determinanti della salute mentale, che includono razza, etnia, genere, età, livello di reddito, livello di istruzione, orientamento sessuale, è anche importante. Inoltre, le condizioni sociali – problemi interpersonali, dinamiche familiari e comunitarie, qualità degli alloggi, sostegno sociale, opportunità di lavoro e condizioni scolastiche – possono influenzare positivamente o negativamente i rischi e gli esiti della salute mentale.

La prevenzione del suicidio deve includere due obiettivi: ridurre i fattori che aumentano il rischio di suicidio e aumentare i fattori che proteggono le persone dallo stesso; spesso le due cose si sovrappongono. Organizzazioni, dirigenti infermieristici e personale possono svolgere tutti un ruolo importante nella prevenzione, iniziando dalla promozione di fattori protettivi.

I fattori protettivi includono l’accesso a un’efficace assistenza psicologica; un ruolo importante giocano i rapporti con gli amici, la famiglia e la comunità; buone capacità di problem-solving e coping e l’avere uno scopo.

Uno studio sul benessere sul luogo di lavoro di Baggett e colleghi, ha riportato che gli infermieri si sentono “curati” quando i leader li vedono come persone nel loro insieme, riconoscendo i problemi che potrebbero avere a casa e sul lavoro.

De-stigmatizzare il suicidio e la depressione. L’assistenza sanitaria mentale porta ancora uno stigma. Ciò è particolarmente vero tra gli infermieri, molti dei quali sentono che dovrebbero portare il peso di questo fardello da soli. Creare una campagna di informazione, parlare apertamente di suicidio e depressione e fornire accesso alle risorse di salute mentale può aiutare ad alleviare i danni di questa stigmatizzazione e normalizzare le loro richieste di assistenza.

Lo dobbiamo a noi stessi, come persone, come professionisti e a chi ha deciso di farla finita, tra i colleghi.

 

Rosaria Palermo

 

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