Riceviamo e pubblicchiamo le amare riflessioni di un collega del 118.
Ore 4:32. Turno 118 in MSB (mezzo di soccorso di base): turno notturno di straordinario, visto il periodo di emergenza, che ad oggi non è ancora finita. Ormai non c’è notte senza almeno un caso Covid. Non c’è giorno senza la presenza costante di questa parola, che ormai è diventata una paura. Ogni volta che esco penso al momento e al soccorso, ma sempre lo stesso problema mi torna in mente.
In Italia, purtroppo, siamo “solo” infermieri: persone che, per credenza popolare, sanno fare solo le volgarmente dette siringhe o flebo, il cui vero nome è iniezione intramuscolo e fleboclisi. Ma questo la gente non lo sa: “Che ci vuole a fare l’infermiere?”, è la cosa che sento più spesso. Non tutti sanno che per fare l’infermiere bisogna affrontare prima un test d’ingresso, poi tre anni di studio all’università, dove nessuno ti regala niente, e in più un esame di abilitazione. Sì, proprio di abilitazione, perché insieme al medico e a tutti i professionisti sanitari, siamo quelli che tengono i pazienti in equilibrio sul filo della vita, ma che, se non formati, rischiano di spingerli giù da quel filo.
Questo lavoro porta molte gioie e molti dolori. A dire il vero, sono più i dolori che le gioie. Sì, perché l’Italia è un Paese “medicocentrico”. Perché sul soccorso noi ci facciamo in quattro per il paziente e per la sua gestione, ma il grazie viene dato al medico. Perché negli ospedali la cura del paziente è sempre a carico dell’infermiere, che entra in punta di piedi nella sua vita, ma il grazie va sempre al medico.
In questo periodo di Covid ancor di più si è sentito questo divario tra medico e infermiere. Prima eravamo gli eroi che a ogni soccorso, quando scendevamo dall’ambulanza, venivano applauditi come un campione di calcio quando scende in campo. Ora siamo tornati a essere “semplici” infermieri: quelli maltrattati perché in ritardo sul soccorso, ignorati perché schiacciati da un mondo in cui sul 118 hanno le mani legate, come è successo ai colleghi dell’Emilia Romagna.
Pensate che negli altri Stati sui mezzi di soccorso non ci sono né medici né infermieri, ma personale tecnico specializzato EMT (Emergency Medical Technician), debitamente formato e che fa cose avanzate più di un infermiere e al pari di un medico, ma non hanno nessuna laurea. Hanno solo, si fa per dire, un corso di formazione e protocolli da rispettare e aggiornare costantemente. Mi chiedo sempre cosa abbiano questi Paesi e persone più di noi.
Per non parlare della parte economica: i rischi sono tanti e le denunce fioccano, per uno stipendio che in Italia è il più basso d’Europa. La stanchezza, dovuta ai turni massacranti per la carenza di personale, è uno degli argomenti più trattati, che le alte sfere fanno però finta di non sentire perché hanno, a mio avviso, pressioni di poteri più forti. Dovremmo pretendere più diritti e impuntarci con forza sulle nostre competenze, che con gli anni sono mutate.
Personalmente sono stanco di combattere ogni giorno con queste realtà. L’entusiasmo iniziale sta scemando. Se continua così, questo sistema finirà per stancare non solo me, ma il comparto intero. E se tutti noi professionisti sanitario incrociassimo le braccia? Ora sono arrivato sul soccorso e ritorno a essere un “semplice” infermiere del 118.
Giovanni Menditto
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