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Se il medico sbaglia una prescrizione l’infermiere ha l’obbligo di correggerla? Si ma non a Milano

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Dirigenza infermieristica: responsabilità, competenza e risultati a 17 anni dalla sua istituzione, quale vantaggio per gli infermieri?
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Riceviamo e pubblichiamo una testimonianza dettagliata di un collega che per aver svolto con diligenza e professionalità la sua attività di infermiere in un pronto soccorso (struttura convenzionata) del milanese, viene licenziato per aver disatteso una prescrizione medica ritenuta in quel momento non corretta nei confronti del paziente.

Ricordiamo che esistono numerose sentenze (Corte di Cassazione – III sezione civile nella sentenza del 12 aprile 2016, n. 7106) che considerano l’infermiere un professionista intellettuale in grado di compiere interventi autonomi anche di correzione o di integrazione della prescrizione medica, non è più possibile considerare l’infermiere come un mero esecutore di volontà mediche anche in tema di somministrazione di terapia farmacologica.

Il mio nome è Alessandro e sono un infermiere. Lavoro da più di 20 anni in area critica. Ho un passato di Medical Combat, una specializzazione dell’Esercito Italiano riservata a pochi “eletti” delle forze speciali militari (ero nel 9° ‘Col Moschin’) e dopo anni di studio, addestramento in condizioni estremissime, divento responsabile della salute dei Militari impegnati in missioni in “war zone” e della popolazione civile sempre in war zone. Dopo  11 anni di missioni, operazioni “Desert storm”, Somalia, Ruanda, ex Jugoslavia, Kossovo, ecc. decido di uscire dall’Esercito e di esercitare la professione infermieristica nel mondo civile.

Preciso che il titolo acquisto in accademia mi avrebbe permesso di conseguire la laurea in medicina, ma decido di diventare infermiere perché ho sempre sentito di esserlo ed è quello che sono: un infermiere, non faccio l’infermiere! Lo sono!!

Mi sono specializzato in area critica e ho studiato e lavorato negli USA e in Svizzera. Rientro in Italia nel 2014 per motivi familiari importanti e trovo una situazione lavorativa disastrosa.

Dopo un periodo di ricerca di impiego, accetto un contratto a tempo determinato in una famosa struttura accreditata dell’hinterland nord Milanese, destinazione P.S..

Ed è proprio qui che è accaduto l’inverosimile, che è poi il motivo per cui mi sono rivolto alla Vostra testata giornalistica.

Una delle tante domeniche mattine di turno, due infermieri, un Oss, un medico e tanti pazienti…

Il mio turno di servizio inizia alle ore 7 ed è subito codice giallo; arriva una signora anziana in evidente dispnea ma non in desaturazione. Dopo il triage di rito, del quale mi occupo personalmente, accompagno con l’ausilio dei ragazzi del 118, la persona in O.B.I. (osservazione breve intensiva) perché la sala rossa era già impegnata per una S.C.A. (sindrome coronarica acuta) stabilizzata in attesa di trasferimento in sala di emodinamica (ereditata dal turno di notte, normale amministrazione per un P.S.).

Avevo già precedentemente rilevato i parametri vitali ed auscultato il torace della paziente e avevo notato una ipofonia delle basi polmonari con segni di lieve versamento (anni di esperienza e soprattutto un corso di formazione in semeiotica e auscultazione) e posiziono la signora in monitoraggio continuo, i valori erano sostanzialmente validi e la signora è sempre rimasta vigile autonoma e collaborante.

Non potendo fare diagnosi, invito il medico a prendere in carico la paziente e dopo la visita, radiografia del torace a letto, si arriva alla conclusione diagnostica di versamento pleurico bilaterale.

Prescrizione medica di 250 mg di furosemide, somministrazione endovenosa. Eseguo la prescrizione e la risposta della signora al farmaco è quasi immediata, 250 cc di diuresi spontanea, prontamente raccolta dal collega O.S.S. con la padella e conservate in un contenitore tarato per verificare la quantità urine.
Riferisco al medico la risposta farmacologica e il medico mi “ordina” di posizionare un catetere vescicale.
Consapevole degli eventuali rischi infettivi per una manovra del genere, soprattutto in una donna anziana in P.S. dove è risaputo esserci possibilità elevata di contaminazione batterica e vista la evidente inutilità di tale prescrizione medica, confortato dal fatto che la paziente era autonoma, vigile e soprattutto percepiva lo stimolo alla diuresi e lo svuotamento vescicale era fisiologico, chiedo al medico di attendere per posizionare il catetere vescicale esponendo le evidenze scientifiche e affermando che se si fosse verificato un blocco della diuresi con successivo globo vescicale, avrei posizionato immediatamente il catetere.

Il medico infuriato per il mio (a suo parere) rifiuto ad eseguire la prescrizione, mi intima e minaccia di “obbedire ai suoi ordini” senza ascoltare ragioni.

Io non mi faccio intimidire dalle minacce e rifiuto di procedere con la sua prescrizione.
Conclusione, la signora urina spontaneamente 2400 cc in circa 5 ore il quadro dispnoico si risolve.

Io ricevo la settimana successiva una segnalazione disciplinare, una lettera di apertura inchiesta per mancata osservanza delle prescrizioni mediche. Nonostante la mia risposta scritta con elencate  le motivazioni accompagnate da linee guida in merito, citate e documentate, ricevo una nota di demerito con multa pecuniaria in busta paga.

Tutto ciò ha poi generato una rottura del rapporto di fiducia bilaterale tra me ed il mio datore di lavoro, con conseguente impossibilità di poter lavorare con tranquillità con il medico suddetto che per lo ‘sgarro’ che io gli avrei fatto, è sempre stato prevenuto nei miei confronti manifestando più volte dissensi anche e soprattutto in mia assenza e alle mie spalle.
L’azienda non mi ha confermato il contratto senza neanche convocarmi personalmente tutto tramite lettere scritte.

Assicuro di essermi più volte rivolto alla direzione del personale della clinica cercando un confronto, un chiarimento ma non per la multa, non mi interessano i soldi, solo per rivendicare la mia professione e professionalità, il diritto costituzionale alla salute e il dovere etico di curare senza provocare danni.
La risposta, sempre scritta, in barba al più famoso scrivano Pasquino che lasciava missive sui monumenti Romani….,”Sig. Gioia (per loro siamo signori nonostante lauree master e specializzazioni acquisite, i dottori sono altri…) lei doveva attenersi alle prescrizioni mediche, poi se avesse ritenuto opportuno, poteva scrivere un reclamo in direzione..”

Che dire?
Ho perso il lavoro ma ho aiutato una signora anziana ad ottenere il risultato terapeutico senza provocare eventuali danni collaterali.

Grazie per l’attenzione
Alessandro Gioia

La storia di Alessandro è perfettamente sovrapponibile a quella di tanti colleghi infermieri che cercano di cambiare la storia di questa professione con grande sacrificio e professionalità, mettendo in primo piano l’interesse di salute dei propri assistiti.

Grazie a te Alessandro per averci reso questa importante testimonianza.

Giuseppe Papagni

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